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Via della Seta, Trieste non è il Pireo. Lo spiega Rossi (Assoporti)

Cosa hanno in comune l’accordo italo-cinese sul porto di Trieste e la privatizzazione del Pireo fatta da Cosco Cina? C’è il rischio che una spregiudicatezza di affari e rapporti inerenti la Via della Seta possa mettere a rischio la sicurezza nazionale sull’altare del business intercontinentale?

Secondo Daniele Rossi, presidente di Assoporti, Trieste e Pireo sono due ambiti completamente diversi. In Italia i cinesi non potrebbero entrare nell’Autorità Portuale, che non può fare attività commerciale. “Quella formula funziona ancora in Grecia – osserva a Formiche.net – ma non in Italia dove abbiamo le aree demaniali che sono gestite dalle Autorità Portuali per conto dello Stato, senza la possibilità che diventino di proprietà di altri. Non c’è la possibilità che vengano cedute o vendute”.

Via della Seta, perché Trieste non è Pireo che aveva bisogno dei soldi cinesi per non fallire?

Trieste non è Pireo perché in Italia per investire sui porti si devono seguire delle procedure pubblicistiche. Quindi tali investimenti vanno fatti secondo modalità di evidenza pubblica: per cui chiunque può avanzare una proposta alternativa o migliorativa, o prendere parte ad un bando di gara pubblica. Ed anche perché i porti italiani non hanno bisogno di capitali, bensi di procedure più efficienti per facilitare gli investimenti in infrastrutture.

Logistica e attività connesse in cosa si differenziano?

Se parliamo di concessioni per lo svolgimento di attività logistico-produttive su aree demaniali, come normalmente sono i porti italiani, non c’è altra via se non quella di tipo pubblicistico, cioè chi è interessato presenta una istanza di concessione dell’area per un certo numero di anni ed un relativo programma di investimenti ed un budget operativo. L’istanza viene resa pubblica ed è contendibile. Ugualmente se si parla di realizzare investimenti infrastrutturali a servizio del porto, quali banchine, strade, ferrovie: non c’è cinese o americano che tenga, i lavori devono essere appaltati dall’ente pubblico, normalmente l’Autorità Portuale, tramite bandi di gara aperti a tutte le imprese che presentano determinate caratteristiche per parteciparvi.

Quale allora la macro differenza con il Pireo?

A differenza di ciò che accade nei porti italiani, il porto greco è gestito da una società in cui i cinesi sono entrati nel capitale con una quota societaria. Peraltro, anche in questo caso la società non ha la proprietà delle banchine, ma una concessione demaniale di lunga durata assegnata dallo Stato. In Italia i porti, che sono aree demaniali, sono proprietà dello Stato e sono gestiti dallo Stato tramite le Autorità Portuali e nessun operatore privato, né italiano né cinese, potrà mai diventarne proprietario.

Cosa ci guadagna l’Italia dall’accordo di Trieste e cosa rischia?

L’Italia guadagna un canale di comunicazione importante per gli investimenti italiani in Cina, penso alla possibilità di gestire aree logistiche in Cina e operare su quel mercato. Un’operazione significativa e positiva di cui va dato merito all’attivismo dei colleghi di Trieste e di tutte le altre Autorità Portuali che da tempo si stanno muovendo in questa direzione. Inoltre si instaura un dialogo con un potenziale cliente/investitore così rilevante come la Cina che è un attore primario su tutta la filiera produttiva e logistica, dispone di una importante flotta navale commerciale e deve trovare mercati di destinazione per l’enorme quantità di merci che produce. Il progetto della Via della Seta ha esattamente questa finalità, cioè creare un percorso logistico efficiente dal Far East all’Europa che consenta di trasportare sempre maggiori quantità di merci via mare. Ha anche finalità di favorire l’accreditamento della moneta cinese come valuta internazionale al pari del dollaro e dell’euro, ma questa è un’altra storia.

Perché i porti italiani sono così interessati?

I porti italiani sono interessati a questo progetto perchè bisogna intercettare i maggiori traffici che potenzialmente potrebbero crearsi. Penso al porto di arrivo finale della Via della Seta per entrare in Europa. Ovviamente il Pireo ha un vantaggio competitivo che deriva dal fatto che sia la proprietà che la gestione sono già cinesi. Ma lo svantaggio greco è logistico.

Perché?

Perché comporta una rottura di carico e quindi maggiori costi di trasporto. In pratica, siccome le merci cinesi sono prevalentemente destinate alle aree produttive ed ai ricchi mercati del centro-nord europa, se vengono scaricate al Pireo dovranno poi essere caricate su navi più piccole per avvicinarsi ai mercati di destinazione. Il trasporto via strada o ferrovia dal Pireo al nord europa non è una alternativa competitiva. Questo trasbordo comporta maggiori costi e rende quindi competitivi i porti italiani.

L’Adriatico quindi sarà il terminale della nuova Via della Seta, dopo Cosco al Pireo? e perché Trieste e non Livorno, Genova o Taranto?

Ovviamente il Pireo continuerà ad essere una destinazione naturale considerato che è gestito dai cinesi ed ha gli spazi ed i fondali per ricevere le grandi navi di nuova generazione, ma restano i limiti logistici e quindi di maggior costo cui accennavo prima. Per quanto riguarda l’Italia, i porti dell’Alto Adriatico e dell’Alto Tirreno hanno un vantaggio competitivo per la per la loro collocazione geografica, ma la disponibilità di alti fondali, di un efifciente sistema ferroviario e di ampie aree logistiche, consentirà anche ad altri porti di essere coinvolti nel progetto della Via della Seta.

Gli accordi firmati dal porto di Trieste gli daranno un vantaggio ?

Non c’è dubbio che il porto di Trieste sarà un attore importante, ma se questo progetto si concretizzerà con i volumi trasportati che saranno necessari per rendere economicamente sostenibili gli enormi investimenti in asset portuali e nuove grandi navi, né Trieste né alcun altro porto potrà essere l’unico destinatario, semplicemente perché nessuno ha da solo le infrastrutture logistiche necessarie per accogliere tutte queste merci. Mi chiedo dove siano gli spazi necessari per sbarcare tutte quelle merci? E con quale rischio di congestionamento del traffico? Blocchiamo i porti?

La Via della Seta potrà essere una opportunità per l’Italia?

Solo a due condizioni: se riusciremo a fare una grande operazione di “sistema” per quel che riguarda le infrastrutture logistiche e se saremo capaci di pretendere una reale apertura commerciale della Cina a maggiori esportazioni italiane. Non dimentichiamo che le stesse navi che porteranno le merci cinesi in Italia dovranno pur tornare indietro… Per cui la risposta alla Via della Seta, che per i cinesi è una cosa talmente seria da esser messa nella loro Costituzione, va ponderata attentamente.

twitter@FDepalo

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