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Wong non verrà in Italia. L’alta corte di Hong Kong ferma l’attivista

Alla fine è andata come deciso da Pechino: Joshua Wong, uno degli attivisti più simbolici delle proteste senza leader di Hong Kong, non verrà in Europa, e dunque nemmeno in Italia. Bloccato dall’Alta Corte dell’isola, che ha respinto il ricorso dell’attivista, il quale si era già visto negare qualche giorno fa la richiesta di espatrio. Wong doveva essere protagonista di un viaggio europeo nel quale avrebbe toccato anche Roma e Milano, per un incontro organizzato il 27 novembre dalla Fondazione Feltrinelli.

La Cina considera Wong un nemico e lo chiama “separatist” (lo stesso epiteto usato per il Dalai Lama, sebbene Wong, come il Dalai Lama, non abbia mai chiesto l’indipendenza totale dalla Cina per i territori che rappresenta). Pechino non vuole che vada a raccontare quello che sta succedendo nel suo Paese. Il Porto Profumato è infatti lo sfondo di una protesta profondissima con strascichi violenti.

I giovani dell’ex colonia britannica temono la cinesizzazione, ossia la fine dello status speciale che la Cina comunista doveva garantire almeno fino al 2047 dopo la riconsegna del Regno Unito. Il principio “un Paese, due sistemi” (yiguo, liangzhi) dovrebbe garantire la semi-autonomia, ma si sta annacquando e il processo di integrazione da parte del mainland è sempre più spinto.

Questo ha scatenato, di fondo, le proteste partite a marzo in modo più sommesso e diventate via via più grandi. In questi giorni gli scontri tra la polizia e i dimostranti (molti dei quali sono studenti universitari) hanno raggiunto livelli da guerriglia. Per le strade di Hong Kong sono comparse armi automatiche, la polizia le ha usate come minaccia e in alcuni casi ha aperto il fuoco. Le telecamere dei media internazionali hanno anche ripreso in strada anche uomini dei reparti speciali dell’Esercito popolare cinese: erano soltanto “volontari” è la spiegazione di Pechino.

È molto probabile che l’Alta Corte ha temuto che Wong avesse potuto usare il viaggio per espatriare, acquisire una condizione molto simbolica di rifugiato politico, diffondere con estrema risonanza le ragioni dei manifestanti e posizioni anti-cinesi. Pechino non gradisce affatto che si parli delle dimostrazioni e sfrutta i propri strumenti politici e diplomatici, nonché le leve economiche, per chiedere ai partner internazionali di non interferire.

Anche Roma non ha fatto da sponda per la retorica dell’attivista e il governo italiano non ha reagito davanti al monito cinese, ma d’altronde era stato lo stesso ministro degli Esteri, il grillino Luigi di Maio, da Shanghai, a ricordare che per il suo modo di vedere le cose l’Italia non doveva interferire negli affari di Hong Kong, perché riguardano solo la Cina.

Il sottosegretario agli Esteri, Ivan Scalforotto (Italia Viva), è attualmente in Cina, da dove ha parlato delle proteste di Hong Kong: le ha definite “violenza inaccettabile”, ha citato la necessità di “dialogo”, e del “rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali” alla base di “Un Paese, due Sistemi”.

(Foto: Twitter, @joshuawongcf)

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