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Russia, Cina, 5G. Per la Nato (e l’Italia) è il momento del coraggio. Parla Wilson (Atlantic Council)

Provocazione o ultima chiamata? All’indomani del summit Nato a Londra la diagnosi del presidente francese Emmanuel Macron, che ha definito l’alleanza “cerebralmente morta”, rimane un monito eloquente per gli Stati membri. La Nato ha ancora uno scopo? Ha compiuto settant’anni, ne ha davanti altri settanta? Domande retoriche per Damon Wilson, vicepresidente esecutivo dell’Atlantic Council di Washington Dc. “La Nato è più viva che mai e l’Italia può ricoprire un ruolo pivot nel suo rilancio” confida a Roma in una conversazione di Formiche.net lo stratega americano, scelto da George Bush come direttore degli Affari Europei al National Security Council.

Wilson, cosa insegna il vertice di Londra? Macron ha ragione?

Ovviamente no. Macron fa bene a provocare i suoi colleghi ma è in grave errore se pensa che la Nato sia morta. Diamo uno sguardo alle altre organizzazioni internazionali. Onu, Ocse, perfino l’Ue. Quale si è trasformata e adattata di più negli anni? La Nato.

Continui.

Al summit di Londra ha riconosciuto lo spazio e il cyber-spazio come domini, ha intrapreso un percorso per colmare il gap nelle tecnologie emergenti e cavalcare la rivoluzione tecnologica nel mondo militare. Ha aumentato la spesa nella Difesa, e vanta una nuova struttura di comando. Ha messo per la prima volta in cima all’agenda la Cina. In Europa dell’Est, nel Mar Nero e nei Baltici ha uno schieramento di forze senza precedenti. È tutto fuorché un’istituzione morta.

Quindi non esiste un problema Nato?

Esiste un problema con le democrazie occidentali che la compongono, che vivono un periodo di frammentazione istituzionale e mancanza di fiducia. Il risultato è la cultura della provocazione, di cui, purtroppo, il presidente americano è il massimo portavoce. Macron fa leva su queste divisioni e si chiede come l’Europa possa diventare un player più geostrategico. Dimentica però che questo obiettivo non si può raggiungere buttando la Nato nel cestino.

La photo opportunity di Londra non è delle migliori. Si può dire che le oggi le divisioni nella Nato sono senza precedenti?

Nessuno fa finta di nulla. Il modo in cui leader come Macron, Trump e Trudeau si sono parlati a Londra è sinceramente patetico. Ma è davvero senza precedenti? No, basta guardarsi alle spalle per ricordare episodi ben più gravi. La crisi del Canale di Suez, dove gli americani hanno messo a repentaglio un’operazione militare di francesi e inglesi in Egitto. La guerra in Vietnam. Il dispiegamento di missili nucleari a media gittata che ha portato in piazza milioni di persone a manifestare in Europa. L’intervento americano in Iraq. Quelle erano vere crisi, questo è un reality show.

Eppure l’attivismo di Macron preoccupa molti a Washington Dc. A partire dalla sua ambizione di mediare con la Russia per una soluzione della crisi in Crimea.

Non si può essere naive su quello che hanno fatto i russi nell’Europa dell’Est. L’Occidente tende spesso a fare concessioni alla Russia per evitare di deteriorare i rapporti. Così un giorno di colpo si sveglia e si chiede perché ci siano delle sanzioni contro Mosca. Semplice: perché la Russia ha invaso militarmente l’Ucraina e la Crimea. I russi oggi sono convinti di poter aspettare comodamente che l’ansia e l’irrequietezza abbiano la meglio a Berlino, Parigi e Roma e le sanzioni siano rimosse.

È così?

C’è un errore sostanziale. Non è l’Europa, ma la Russia a dover mettere a posto le cose. La Russia ha scelto di instaurare questi rapporti, non l’Europa. Ben venga il dialogo, ma da una posizione di forza. Il sogno di Putin è dividere l’Occidente a fette come il salame e sedersi a guardare lo spettacolo. Ora è lui che deve fare il primo passo se vuole un riassetto dei rapporti diplomatici.

Al summit di Londra si è discusso molto di Cina. Il Dragone è una minaccia o un’opportunità per l’alleanza?

Parliamoci chiaro. Il grado di interdipendenza economica che l’Occidente ha con la Cina non può scomparire da un giorno all’altro. Un distacco chirurgico è immaginabile solo per alcune tecnologie militari altamente sensibili. Dobbiamo essere consapevoli che abbiamo davanti un secolo di competizione e cooperazione con Pechino.

Qual è il disegno cinese per l’Europa?

Credo sia sufficientemente chiaro. Assicurare che in caso di una crisi fra Stati Uniti e Cina l’Europa rimanga sugli spalti, mansueta. E la continua oscillazione dell’Ue fra Stati Uniti e Cina dimostra che il piano sta avendo successo.

C’è una via d’uscita?

Come Nato abbiamo un vantaggio competitivo su Cina e Russia: siamo un’alleanza. Per evitare che ci dividano dobbiamo sviluppare una comune strategia transatlantica, senza privarci a priori delle opportunità economiche.

Vale anche per il 5G?

Il 5G rientra in quei settori tecnologici dove bisogna tracciare una linea netta. L’apertura delle nostre democrazie è una forza ma può trasformarsi in debolezza. Per questo è necessario fare attenzione a cedere la banda ultralarga ad aziende cinesi che sono estensioni del Partito comunista.

Il modello Usa si può esportare?

Il governo americano ha imparato in questi anni che non è facile andare a parlare con le comunità delle zone rurali, dove la rete wireless spesso si regge su equipaggiamento Huawei. La verità è che gli Stati Uniti hanno suonato il campanello d’allarme troppo tardi, e su input cinese

Però le aziende cinesi sono all’avanguardia nello sviluppo del 5G, e hanno prezzi più che competitivi. Ci sono davvero alternative?

Ci sono altri operatori affidabili, come le europee Nokia ed Ericsson. Certo, non è tutto bianco e nero. Non si può spegnere l’interruttore da un giorno all’altro. C’è però chi ha avuto il coraggio di prendere decisioni nette. Se un Paese come l’Australia, che notoriamente è integrata nel sistema economico cinese, ha chiuso il mercato del 5G ad aziende sospette di spionaggio, possono farlo anche gli alleati europei.

Come?

Negli Stati Uniti abbiamo il Cfius (Committee on Foreign Investments of the United States, ndr). In Europa quattordici Paesi hanno avviato una revisione della normativa. L’Ue deve difendere i suoi settori strategici se non vuole rimanere ai margini della rivoluzione geotecnologica. Il 5G sarà lo Sputnik del XXI secolo.

La Nato può giocare un ruolo?

Pensiamo alla Guerra Fredda. La Nato aveva un programma scientifico, sapeva che investire in ricerca e sviluppo come alleati era l’unico modo di competere con l’Unione sovietica. Oggi gli Stati Uniti hanno accelerato sull’Intelligenza artificiale e il quantum computing, anche grazie alla spinta del settore privato.

Wilson, chiudiamo con l’Italia. La vicinanza alla Cina degli ultimi governi ha fatto pensare a un deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti. C’è del vero?

I rapporti sono in ottima salute. Ho lavorato tre volte alla Casa Bianca, ho seguito personalmente le chiamate del presidente Bush con Berlusconi, presenziato agli accordi di Pratica di Mare, assistito alla nascita dell’impegno italiano in Kosovo, Libano, Nord Africa. L’Italia è il secondo Paese per presenza di truppe americane, e ha un’industria della Difesa perfettamente integrata con quella americana, basti pensare agli F-35 e a campioni del settore come Fincantieri e Leonardo.

Cosa manca allora?

Comprensione reciproca. Negli Stati Uniti c’è scarsa percezione della politica italiana, anche a causa della breve durata dei governi. C’è un gran bisogno di riallacciare i rapporti e un’alleanza che ci lega da decenni.

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