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Ascoltando il papa alla Vigilia di Natale deI 1944

Anche una vigilia di Natale è stata per Aldo Moro momento per riflettere in termini politici sui principi di democrazia e libertà. L’occasione è data dal discorso del pontefice Pio XII, diffuso via radio dalla Santa Sede, il 24 dicembre 1944.

IL RADIOMESSAGGIO DI PIO XII 

Il Papa iniziò il radiomessaggio, ricordando che il Natale del 1944 coincideva con il sesto anno di guerra. Se questa non è ancora terminata, volge tuttavia al termine: “Le moltitudini, irrequiete, travolte dalla guerra – disse – sono oggi invase dalla persuasione che, se non fosse mancata la possibilità di sindacare e correggere l’attività dei poteri pubblici, il mondo non sarebbe stato trascinato nel turbine disastroso della guerra”. Moro stava per assumere la presidenza del Movimento dei giovani laureati, dopo esser stato presidente della Federazione degli universitari cattolici, dirigeva la rivista “Studium” e collaborava al periodico barese La Rassegna. Proprio sulle colonne di quest’ultima pubblicazione decise di commentare le parole di Papa Pacelli che metteva in guardia contro l’assolutismo di Stato, quale corruzione della sana forma di governo democratica. Nel radio messaggio papale si avvertiva che questo accade quando si attribuisce allo Stato “un potere senza limiti né freni, che fa anche del regime democratico, nonostante le apparenze contrarie ma vane, un puro e semplice sistema di assolutismo”. Concluse il pontefice: “Assolutismo di Stato o di una democrazia insana non è la monarchia assoluta, ma consiste nell’erroneo principio che l’autorità dello Stato è illimitata”.

LE RIFLESSIONI DI ALDO MORO 

Il 4 gennaio 1945, commentando quel discorso radiofonico Moro ribadì: “L’essenza della democrazia è nel riconoscimento della dignità della persona, dei suoi diritti nell’ambito della società, delle responsabilità che una tale cosciente partecipazione all’esercizio del potere comporta. La libertà non è un arbitrio, non è sopraffazione, non è finzione di mistiche popolari ingannatrici, è invece sostanza di vita morale, peso di coscienti e lucide decisioni, di contributi da dare, di controlli da stabilire in vista del bene comune”.  Insomma in quell’articolo su La Rassegna si ritrovano le chiavi di volta di tutta la linea politica morotea che si spiegano nei due concetti di democrazia e libertà. Nella loro declinazione passa per Moro quel difficile confine tra fascismo e antifascismo che si sostanzia nel pluralismo delle forze politiche, nell’attenzione alle formazioni sociali, nel dialogo tra società civile e società politica, nella progressiva affrancazione di tutte le classi sociali verso il governo della cosa pubblica. Quando scrive questi pensieri Moro sta per lasciare l’azione prepolitica per entrare in quella essenzialmente politica. Infatti, il 2 giugno 1946, non ancora trentenne, venne eletto deputato all’Assemblea costituente come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana. Svolgerà un ruolo di altissimo livello della Commissione dei 75, incaricata di redigere la Costituzione repubblicana.

DEMOCRAZIA E LIBERTÀ

E proprio i principi di democrazia e libertà tornarono con la stessa intensità nel dibattito costituente; poi, negli anni cruciali delle difficili transizioni. La terza fase, realizzata nella seconda metà degli anni Settanta, con la sua traduzione nella solidarietà nazionale ha rappresentato, di fatto, un punto alto di equilibrio tra la necessità di consolidare la democrazia e garantire l’attuazione del metodo della libertà. Un progetto politico avviato proprio negli anni della Costituente ed intuito nitidamente anche in quella vigilia di Natale del 1944, ascoltando il Papa per radio.

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