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Autostrade? Sì, no, forse. Conte, Di Maio e De Micheli hanno tre idee diverse (sic!)

Se non ci fossero di mezzo migliaia di posti di lavoro, ci sarebbe anche da ridere. Invece no, sulla guerra, o presunta tale, tra l’attuale esecutivo e il gruppo Autostrade della famiglia Benetton (qui l’intervista all’economista della Bocconi Carlo Alberto Carnevale Maffè), si può anche piangere. Un governo nazionale letteralmente spaccato dinnanzi a una vicenda che più delicata di così non poteva essere. E non solo per i citati posti di lavoro, un titolo quotato in Borsa (Atlantia, la controllante di Autostrade) che ieri ha perso oltre il 4%. In ballo c’è il futuro del grosso delle nostre infrastrutture viarie, autostrade in primis e persino qualche aeroporto, compreso il primo scalo nazionale. Il possibile riassetto delle concessioni autostradali, effetto collaterale della tragedia del Ponte Morandi dell’agosto 2018, è sicuramente tra le ultime scosse telluriche di fine anno, nonché uno dei principali temi che aprirà l’agenda politica del 2020. Sicuramente, qualcosa da maneggiare con cura.

GOVERNO SPACCATO SU AUTOSTRADE

Sulle concessioni è in atto un clamoroso psicodramma di fine anno. Chi dice una cosa, chi un’altra e chi un’altra ancora: 1, x, 2, come al Totocalcio. Tre posizioni diverse di cui due manifestamente inconciliabili tra loro, tutte a mezzo stampa e tutte riconducibili a tre figure chiave sia nell’esecutivo sia nella gestione del dossier Autostrade: Giuseppe Conte, premier, Paola De Micheli, ministro dei Trasporti in quota Pd a capo del dicastero direttamente competente e Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e azionista paritetico dell’esecutivo. Tutti e tre, oggi, hanno detto una cosa diversa. Per Conte, non è il caso di mettere in atto imboscate a scopo di vendetta contro la società dei Benetton. Per il capo del M5S invece le concessioni vanno revocate e rimesse a gara a tutti i costi. Per la titolare del dicastero di Porta Pia invece, ogni decisione in merito va rimandata a gennaio.

TRE VOCI PER UN DOSSIER

Le parole di Conte non lasciano molto spazio alle interpretazioni. In un’intervista al Messaggero l’avvocato divenuto premier ha chiarito la sua posizione. “Non credo affatto che le norme introdotte nel decreto Milleproroghe creino problemi al sistema delle concessioni autostradali. Anche perché non abbiamo disposto la revoca o la decadenza di nessuna concessione. Introduciamo semmai un regime più uniforme e trasparente”. Tradotto, nessuno scippo ai Benetton, casomai una stretta sull’affidamento delle concessioni il cui livello di trasparenza in questi ultimi decenni, si può anche discutere.

Di pensiero nettamente opposto Di Maio, che ha scelto la Stampa per chiarire la sua posizione. “Abbiamo 43 vittime, delle famiglie che ancora piangono, indagini e perizie che ci dicono che Autostrade non ha provveduto adeguatamente alla manutenzione del ponte Morandi nonostante fosse a conoscenza dei rischi: è gravissimo, non c’e’ altra soluzione alla revoca della concessione, mi sembra evidente”. In mezzo, il ministro De Micheli, che ha sposato la linea del prender tempo, forse per dare tempo al governo di trovare una sintesi, sempre che sia possibile vista la sostanziale inconciliabilità delle posizioni di Di Maio e Conte.

“Nessun esproprio proletario. Nessuna nazionalizzazione o vendetta. Vogliamo solo che le regole siano uguali per tutti”, dice, in un’intervista in apertura del Corriere della sera, la ministra. Ma, avverte, “la revoca è una procedura separata, sulla quale stiamo ancora acquisendo dati. Una volta che avremo terminato l’analisi, tutto il governo approfondirà il se, il come e il quando. A gennaio saremo in grado di prendere una decisione ma fino a quando non avremo esaminato tutti gli aspetti non mi sbilancio”.

IL FATTORE CAOS

Preso atto della spaccatura interna al governo sul dossier concessioni, bisogna fare delle considerazioni. Prima tra tutte, con il caos bisogna andarci piano. Quando l’incertezza politica tocca direttamente equilibri sensibili, come il risparmio di chi investe in un titolo, serve cautela. Ieri, per esempio, il titolo Atlantia, la holding della famiglia Benetton cui fa capo Autostrade, ha perso quasi il 5%, proprio per l’effetto dell’attacco sulle concessioni. Un clima di incertezza come quello attuale non può giovare al titolo, nei prossimi giorni. Se cade il titolo, i risparmiatori venderanno le azioni prima che perdano troppo valore. E la società, che in Borsa ha quasi il 45% del capitale, ne risentirà.

Secondo, gli investimenti. Nessun gruppo industriale, tanto meno Atlantia, può pianificare investimenti nel lungo termine se non ha certezza di cosa potrà fare e dove. Ridiscutere le concessioni significa nei fatti bloccare qualunque piano di spesa e l’Italia di investimenti, ne ha bisogno. Terzo e ultimo punto, il messaggio all’esterno. Che cosa penseranno i grandi investitori di un Paese che non solo ha il vizietto di cambiare le regole in corsa, ma che vanta una classe dirigente priva di una posizione condivisa su questioni così importanti?

 

 

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