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Debito, Cina e spread. Il pro memoria per il 2020 di Christine Lagarde

2020, istruzioni per l’uso. L’anno che ci sta salutando sarà ricordato anche per l’addio di Mario Draghi alla guida della Bce, dopo anni di politica monetaria accomodante, all’insegna del whatever it takes. Ora al timone c’è la francese Christine Lagarde e l’ultimo bollettino (qui il testo) dell’anno pervenuto da Francoforte detta un po’ l’agenda per i governi dell’Eurozona. L’Italia dal terzo debito mondiale è, naturalmente, in cima alla lista, nell’attesa di capire se il governo giallorosso sopravviverà ancora un anno.

ANNO NUOVO, VECCHIO DEBITO

Punto primo, sempre quello. Il debito italiano, mostro a tre teste da quasi 2.500 miliardi. “Italia, Belgio, Spagna e Francia continuano a registrare livelli di debito molto elevati per i quali non è stato ancora avviato un costante percorso di riduzione”. Ricordando quanto sottolineato dall’Eurogruppo di inizio dicembre, la Bce osserva che il lento ritmo di riduzione degli elevati livelli del debito in numerosi Stati membri “continua a costituire motivo di preoccupazione e dovrebbe essere affrontato in maniera risolutiva, anche ricorrendo a eventuali disponibilità straordinarie derivanti dai bassi tassi di interesse”.

OCCHIO ALLO SPREAD

Se si parla di debito si parla anche del suo costo. L’Italia piazza ogni anno 400 miliardi di titoli per raccogliere i soldi necessari a sostenere il suo stesso debito. Un meccanismo fatto di aste di cui il nostro Paese non può fare a meno e su cui la politica ha precise responsabilità. “I rendimenti sovrani dell’area dell’euro hanno rispecchiato in ampia misura l’aumento dei tassi privi di rischio e i differenziali di rendimento dei titoli sovrani hanno mostrato variazioni contenute”. Ma, attenzione, solo il differenziale sui titoli di Stato italiani è aumentato in maniera significativa, principalmente per effetto di tensioni politiche interne“. Pensare che “nell’area dell’euro i rendimenti sovrani a lungo termine sono aumentati, segno di un’inversione rispetto alla tendenza al ribasso osservata fra la fine del 2018 e agosto 2019”, si legge. Tradotto, gli spread sovrani sono aumentati sì in tutta Europa, ma la differenza sta nel fatto che non tutti i Paesi hanno i conti traballanti come i nostri. E dunque uno spread più alto è più sopportabile.

CHI HA SOLDI, LI USI
Non è tutto. Altra indicazione, usare i margini di bilancio per finanziare la crescita. Chi li ha, si intende. “I governi dei Paesi con alti livelli di debito – avverte la Bce – devono perseguire politiche prudenti e conseguire gli obiettivi di saldo strutturale, che contribuiranno a creare le condizioni affinché gli stabilizzatori automatici operino liberamente. Alla luce dell’indebolimento delle prospettive economiche, i governi che dispongono di margini per interventi di bilancio dovrebbero essere pronti ad agire in maniera efficace e tempestiva. Tutti i Paesi dovrebbero intensificare gli sforzi per conseguire una composizione delle finanze pubbliche più favorevole alla crescita”.

PESSIMISMO CINESE

Lasciando l’Europa, la Bce non è fiduciosa sulla fine della guerra dei dazi tra Usa e Cina e nel bollettino sottolinea i “segnali contrastanti sul potenziale dissolvimento delle tensioni” che limitano la ripresa del commercio mondiale. “Il dibattito sugli scambi commerciali prosegue tra le schermaglie politiche dei due Paesi coinvolti e resta da chiarire il quadro temporale di un eventuale accordo” scrivono gli economisti della banca di Francoforte che mettono in evidenza le ulteriori tensioni commerciali tra gli Usa e Argentina e Brasile sull’acciaio e l’alluminio e quelle con la Francia per effetto della digital tax. “Sebbene il volume complessivo delle importazioni potenzialmente colpite da questi dazi non sia particolarmente ampio, tali recenti sviluppi non depongono a favore di un eventuale dissolvimento delle tensioni commerciali”. Come a dire, non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso.

 

 

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