Boeing dà l’addio a Dennis Muilenburg e dal 13 gennaio avrà come amministratore delegato e presidente David Calhoun. L’annuncio, diffuso nella mattinata di New York, conclude in maniera drastica la crisi innescata dai due incidenti del 737 Max.
È difficile dire a caldo se pesino di più gli incidenti, la gestione della crisi, o la difficoltà nel riottenere la certificazione del bireattore. Quello che è certo, è che gli oltre 400 Max fermi sui piazzali in attesa di consegna, e la decisione di fermare la produzione hanno minato il rapporto di fiducia con Muilenburg, al quale già a ottobre era stato tolto l’incarico di presidente affidandolo proprio a Calhoun. Il comunicato di Boeing è avaro di dettagli, ma la mancanza del tradizionale ringraziamento per l’opera svolta e l’assenza di fughe di notizie, più o meno pilotate, lasciano immaginare uno scontro che si è improvvisamente indurito all’interno del consiglio di amministrazione, forse in vista della mancanza di buone notizie per il resoconto annuale in calendario per il 29 gennaio. Muilenburg, 55 anni d’età, dei quali 35 passati in Boeing, era alla guida del gruppo da quattro anni, quando aveva sostituito Jim McNerney.
In tale assenza di dettagli, non si può escludere che il consiglio di amministrazione abbia ritenuto di dover sacrificare l’ad per facilitare i rapporti con le autorità aeronautiche internazionali, come una sorta di capro espiatorio per l’intera vicenda Max, nonostante non sia finora emerso alcun legame diretto tra l’amministratore uscente e i problemi tecnici dell’aeroplano. Meno probabile sembra invece il collegamento con il parziale insuccesso della capsula spaziale Starliner: il mancato aggancio automatico alla Stazione spaziale internazionale (Iss), per quanto negativo, è infatti bilanciato dal successo complessivo della missione, dal rientro positivo della navicella che, per la prima volta nella storia del programma spaziale americano, è avvenuto su terra anziché su mare. La missione ha anche raccolto buona parte dei dati necessari, compresi quelli delle condizione interne per l’equipaggio, attraverso il manichino strumentato Rosie che sedeva al posto di uno degli astronauti.
Gli altri problemi di questi non sembrano tanto gravi da giustificare la rimozione di Muilenburg: né i ricorrenti problemi del tanker KC-46 per l’Aeronautica militare americana, né il ritardo del 777X, che nelle settimane scorse ha subito uno stop per l’inaspettato cedimento di una parte strutturale durante le prove statiche.
La crisi Max continua ad essere pertanto l’elemento cruciale del 2019 di Boeing che, per la prima volta, è parsa non saper superare un problema tecnico, o peggio ancora di poter convincere le autorità aeronautiche di saperlo fare. È probabilmente tale tipo di danno alla reputazione, non diverso dall’impatto sui fornitori per la sospensione della costruzione del Max, che ha spinto il consiglio d’amministrazione alla drastica decisione. Una preoccupazione strategica, quindi, per il futuro a lungo termine del colosso statunitense, più che un timore immediato per una crisi comunque destinata a risolversi entro qualche mese.
La sfida che si pone a Calhoun è ora quella di rassicurare tutti, autorità, clienti civili e militari, della capacità di rimettere al centro i valori ingegneristici, tradizionalmente associati a Boeing, anziché quelli economico-finanziari che molti rimproverano alla società di aver assorbito da McDonnel Douglas quando l’ha acquistata nel 1997.
Sessanta due anni, laureato in economia e commercio, Calhoun è stato vice presidente di General Electric e ceo di GE Infrastructure, divisione di GE con 120mila dipendenti e 50 miliardi di dollari di fatturato. Attualmente è a capo delle operazioni di private equity del fondo di investimento Blackstone e presidente esecutivo di Nielsen, entrambe cariche che lascerà prima di assumere il controllo di Boeing in gennaio. Si tratta solo in parte di un “papa straniero”, poiché siede nel consiglio di amministrazione dal 2009, sia pure con la qualifica di “independent director”. Avrà comunque bisogno di rispettare l’autonomia e il giudizio del management tecnico per recuperare una situazione che, almeno secondo i resoconti di stampa, sarebbe nata proprio per l’eccessiva concentrazione sulla strategia finanziaria.