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Il trionfo di Bojo aiuta Salvini (ma occhio al curriculum)

Il successo prorompente di Boris Johnson nella notte elettorale inglese ha risvolti italiani che vanno considerati da subito, perché non resteranno privi di effetti.
E va detto subito che il beneficiario principale di questi effetti è Matteo Salvini, peraltro un po’ giù di tono nella sua comunicazione politica da qualche settimana a questa parte (anche perché la sua durissima polemica con Conte rischia di restare confinata nell’esercizio retorico oppure potrebbe finire per aiutare il premier, rafforzandolo).

Sono infatti almeno tre gli aspetti in favore di questa tesi, che proviamo qui a sintetizzare.

In primo luogo si conferma nella seconda economia d’Europa (lasciamo da parte per un momento l’adesione alla Ue) il vento di destra che soffia forte nell’intero continente, al punto che per tornare ad un successo di tali proporzioni dei conservatori inglesi occorre andare con la memoria ai tempi della “Lady di Ferro” Margaret Thatcher (in particolare alla sua seconda vittoria elettorale, quella del 1983). Ciò consolida anche a livello di tendenze internazionali la situazione italiana, che vede le opposizioni di destra in netto vantaggio nelle rilevazioni demoscopiche.

Poi c’è un tema di leadership, perché Johnson (pur essendo parte integrante dell’establishment nazionale) ha giocato da outsider, personalizzando brutalmente ogni aspetto della campagna elettorale e dimostrando, ancora una volta, che viviamo tempi politici in cui gli elettori cercano una “guida” cui affidarsi senza troppe pieghe di ragionamento.

Infine c’è il gigantesco tema europeo, oggetto di gran parte della campagna elettorale di Bojo con il motto “Get Brexit Done”. Ebbene qui c’è il punto di più forte assonanza con la linea Salvini, soprattutto perché i risultati smentiscono platealmente quanto l’intera intellighenzia progressista mondiale ha detto in ogni modo per anni (e l’ha fatto anche lo sconfitto Corbin, così come tutta, ma proprio tutta, la sinistra italiana), cioè che gli inglesi si erano immediatamente pentiti del voto pro-Brexit al referendum del 2016. In verità non solo sono ben lontani dal pentimento, ma votano per il campione dell’uscita dall’Unione il più presto possibile.

Insomma i risultati di questa notte portano fieno in cascina all’intero bagaglio politico di chi si oppone agli attuali assetti di potere europei, anche se va detto per onestà intellettuale che né Macron né Merkel hanno mai preso in considerazione sul serio una marcia indietro inglese: non si è cioè svolta una vera e propria battaglia politica per tornare alla situazione antecedente al referendum.

Quindi Salvini ha solo motivi per gioire dello spettacolare successo di Bojo. Sappia però che esistono altri due elementi di cui dovrà tenere conto, non esattamente a lui favorevoli. Il primo è che Johnson non sarà automaticamente dalla sua parte, perché gli equilibri internazionali esistenti non indurranno l’inquilino di Downing Street a mostrarsi particolarmente amico del leader leghista.

E poi c’è un tema di “biografia”. Salvini è forte di consensi imponenti e quindi più che legittimamente proiettato verso Palazzo Chigi ( quando si voterà).
Si ricordi però che Johnson prima di prendere possesso dell’ufficio che fu di Churchill e Thatcher ha fatto per otto anni il sindaco di Londra, che è molto ma molto di più che fare il capo di un governo di una nazione piccola o media.

In sintesi: il curriculum ancora a qualcosa serve nella vita.

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