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Cina vs Usa, è guerra sulla proprietà intellettuale. E il Congresso scrive a Trump

C’è uno scoglio su cui rischiano di infrangersi i negoziati commerciali fra Stati Uniti e Cina. Dopo mesi di tensioni e continui rinvii un compromesso sembrava alle porte. Tutto però ha un prezzo. Dopo l’annuncio della nuova “fase uno” delle trattative il rappresentante degli Stati Uniti per il Commercio Robert Lightizer ha infatti ammesso che il governo americano farà delle “concessioni” a quello cinese su uno dei temi più spinosi della contesa: i diritti di proprietà intellettuale.

LA CANDIDATURA DEI CINESI

Fra queste ce ne è una che ora può mettere su un piede di guerra un fronte bipartisan del Congresso. Ovvero lasciare che la Cina si candidi e ottenga la presidenza della Wipo (World Intellectual Property Organization), il potente organo delle Nazioni Unite preposto alla regolamentazione internazionale dei diritti e dei brevetti

Per anni indifferente nei confronti dell’ambita carica, da circa un mese Pechino ha cambiato idea proponendosi per guidare il prossimo mandato. Un bel problema per gli Stati Uniti, che, secondo un recente studio di economisti del Dipartimento del Commercio, ogni anno perdono quasi 50 miliardi di dollari per contrastare la contraffazione e lo spionaggio industriale made in China.

LA LETTERA (ALLARMATA) DEL CONGRESSO

In una lettera aperta al presidente Donald Trump due senatori, Charles Schumer (D) e Tom Cotton (R), e due congressmen, Jimmy Panetta (D) e Mike Gallagher (R), hanno chiesto di impedire a “un regime che continuamente mette in discussione lo stato di diritto non garantendo l’apertura dei mercati o il rispetto per i diritti di proprietà intellettuale” di assurgere alla presidenza della Wipo.

Il Partito comunista cinese (Pcc), scrivono i parlamentari, “sta investendo strategicamente e sviluppando tecnologie critiche ed emergenti nell’ambito dell’iniziativa Made in China 2025 e altre politiche industriali aggressive”. Fra queste, “un insieme di pratiche e tattiche che obbligano le aziende americane a trasferire la loro tecnologia e proprietà intellettuale alle aziende cinesi”.

C’ENTRA ANCHE HUAWEI

Si tratta di un’accusa che da tempo il governo americano muove alla Città Proibita. Da anni nel mirino degli Stati Uniti c’è in particolare la pratica delle joint venture che molte compagnie americane sono costrette a creare per operare nel mercato cinese, non di rado trovandosi forzate ad accettare trasferimenti di tecnologia e know-how. Fino a giugno alla Wto (World Trade Organization) pendeva una causa degli Stati Uniti al governo cinese costruita proprio su queste accuse, poi congelata in segno di tregua nel confronto commerciale.

La candidatura cinese, spiegano nella lettera a Trump i parlamentari, preoccupa peraltro perché spianerebbe la strada a un’azienda considerata un pericolo per la sicurezza nazionale dal governo federale. Si tratta della cinese Huawei, campione globale della telefonia mobile che, ricordano, “è ritenuta essere influenzata dal Pcc e presenta rischi evidenti alla sicurezza americana”. Nel 2018 il colosso tech con base a Shenzen è stato il primo richiedente di brevetti internazionali alla Wipo.

I NOMI IN CAMPO

La posta in gioco è ben racchiusa nella reazione di James Pooley, ex vice-direttore generale della Wipo, raccolta da Foreign Policy: “L’amministrazione Trump è convinta che la Cina sia una ladra. Perché allora vuol mettere la volpe a sorvegliare il pollaio?”. I legislatori sperano che la Cina rinunci da sola alla candidatura, accontentandosi di un ruolo chiave nella macchina Onu. Per ora però non c’è l’ombra di una marcia indietro. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha già fatto un nome per sostituire alla presidenza l’australiano Francis Gurry: Wang Binying. Alto funzionario del Wipo, dove lavora da 12 anni, ha studiato negli Stati Uniti per poi entrare nella Pubblica amministrazione cinese. Fino ad oggi la diplomazia americana si era mobilitata per sostenere il singaporiano Dareng Tang.

Il cambio alla guardia è considerato un obiettivo strategico da diversi funzionari dell’amministrazione Trump. La presidenza australiana di Gurry è stata più volte accusata a Washington per l’eccessiva vicinanza ai cinesi e in particolare per il supporto alla Belt and Road Initiative (Bri), la nuova Via della Seta lanciata da Xi Jinping.

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