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Il governo, le concessioni autostradali e le responsabilità dello Stato. Il commento di Cianciotta

L’effettiva volontà del governo giallorosso di promuovere la crescita, sostenendo le misure e le azioni a favore dello sviluppo? Moltissimo dipenderà dalla capacità di dialogo che sapranno mettere in campo il ministro alle Infrastrutture Paola De Micheli (Pd) e il titolare del Mise Stefano Patuanelli (M5S).

Così mi esprimevo qualche mese fa su Formiche.net commentando la nascita del nuovo governo giallorosso. Giustizia e infrastrutture, dicevo, sarebbero stati due temi strategici per valutare la tenuta del Conte bis, e a distanza di tre mesi sono ancora questi i temi che dividono la maggioranza. Come del resto era accaduto anche nel governo Conte I.

Le grandi infrastrutture e i dossier gestiti dal Mise (energia e idrocarburi in primis), infatti, fin dall’inizio hanno costituito un nodo cruciale nella continua dialettica politica tra la Lega e il M5S (Salvini non a caso ha aperto la crisi dopo la spaccatura in Parlamento sulla Tav), perché alla base dei diversi valori politici dei due partiti che avevano dato vita al contratto di governo, c’era innanzitutto una visione diametralmente opposta sullo sviluppo e la crescita.

Differenza sostanziata nella opposta interpretazione delle politiche economiche (flat tax e reddito di cittadinanza) e nella individuazione degli strumenti a sostegno della crescita (e le infrastrutture costituiscono la misura più importante tra quelle anticicliche).

Pd e M5S sanno bene che questi campi sono minati (soprattutto tra i grillini) e possono produrre deflagrazioni incontrollabili (si pensi al valore economico e occupazionale che il settore delle estrazioni di idrocarburi riveste per la provincia di Ravenna alla viglia delle elezioni amministrative di gennaio).

Nel frattempo, però, sono nati i partiti di Renzi e Calenda e si è dato vita al movimento delle Sardine, evidenziando una forte scollatura nel Pd e la conferma che quei nodi (infrastrutture e giustizia) restano insoluti, come dimostra la tensione in Consiglio dei Ministri sulle concessioni autostradali, ma anche l’intervento in Senato di Renzi sul rapporto tra magistratura e politica.

Sono da sempre contrario alla revoca delle concessioni, e l’ho ribadito anche in questa sede di recente. L’inserimento nel Milleproroghe della misura che prevede come in caso di revoca, decadenza o risoluzione di concessioni di strade o autostrade, in attesa di individuare un nuovo concessionario la gestione può passare all’Anas, mi sembra una soluzione inefficace, con la quale si continua a non affrontare la vera natura del problema.

La questione è duplice: da una parte i controlli da parte dello Stato, che in questi venti anni sono quasi del tutto mancati; dall’altra il rispetto dei contratti da parte dei concessionari.

Nel frattempo l’Italia si è spezzata in due, a causa del sequestro dei viadotti e dei guardrail, e per raggiungere regioni da sempre votate al turismo come Marche ed Abruzzo ci si possono impiegare anche dieci ore partendo da Milano. Per non citare i diversi viadotti che sono crollati nell’ultimo anno e mezzo.

L’impianto normativo che regola le concessioni è vetusto, perché nel frattempo si sono modificati i termini dei contratti (si pensi ad esempio ai terremoti che si sono succeduti dal 2009, che hanno determinato sui tronchi autostradali A24 e A25 onerosi interventi di manutenzione straordinaria, non prevedibili all’epoca della sottoscrizione del contratto di concessione), e non si può scaricare questa anomalia sui cittadini e le imprese.

Siamo stati i primi come Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni a chiedere all’allora ministro delle Infrastrutture Delrio già nel gennaio 2018 la revisione dei contratti di concessione, per agevolare i fruitori del servizio che in questi venti anni hanno pagato cifre elevate a fronte di servizi non adeguati.

Per un’impresa, infatti, i costi della logistica e della infrastrutturazione non idonea e dell’intermodalità incompleta, incidono per il 10% sul bilancio di esercizio, una cifra spropositata che andrebbe ricondotta a valori più equilibrati, come del resto indicato nella Linea Guida Anac sulla revisione dei contratti di concessione.

La linea guida Anac, infatti, interveniva proprio sulla revisione dei contratti delle concessioni e sulla disciplina dei contratti di partenariato pubblico-privato, definiti all’art. 3 del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (il cosiddetto Codice dei Contratti di recente modificato).

In particolare nella II parte della linea guida si individuavano proprio gli strumenti per favorire non solo il controllo e il monitoraggio economico delle attività del concessionario, ma soprattutto veniva indicata quale direzione intraprendere nel caso di revisione del contratto, causata dalla inadempienza o inefficacia delle clausole contrattuali preesistenti, perché, ad esempio, sono venute meno le modalità che regolavano il rapporto ex ante.

La manutenzione, infatti, è un argomento sempre di più centrale nella gestione delle infrastrutture italiane, anche alla luce dei vari crolli di ponti e di viadotti che si sono succeduti nel 2017 sui vari tratti stradali ed autostradali italiani, a causa della loro vetustà e della non sempre rigorosa attenzione dovuta alla manutenzione.

L’Anac anche per questo ha insistito in modo puntuale sulla definizione della matrice dei rischi come strumento di controllo, sulla sua corretta analisi ed interpretazione, sul flusso di informazioni per il monitoraggio. E poi, c’è un altro elemento da valutare.

Lo Stato deve fare i controlli. In questi quasi venti di concessioni autostradali i contratti sono stati secretati. Perché e in nome di quale principio superiore? Abbiamo conosciuto l’entità della redditività record dei concessionari solo dopo il crollo del Morandi. Anche lo Stato quindi ha le sue responsabilità. Avrebbe dovuto tutelare l’interesse generale, ma la sua condotta non è stata improntata alla tutela dell’interesse pubblico.

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