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Cosa rischia l’Italia dalla crisi in Libia? Risponde Politi

La lezione russa in Siria è che gli incontri vanno benissimo, ma un momento dopo occorre dialogare con gli Stati-sponsor della guerra per procura e cercare un accordo per agire. C’è tutto questo da parte italiana? Se lo chiede dalle colonne di Formiche.net Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, che riflette non solo sull’accelerazione turca nello scacchiere libico, ma anche sulle prospettive italiane in loco, nelle stesse ore in cui il ministro degli Esteri Luigi Di Maio incontra Serraj e Haftar.

L’intesa Tripoli-Ankara semplifica o complica il quadro attuale in Libia?

Contribuisce a polarizzare una situazione che già era pessima e chiarisce maggiormente le linee di contrapposizione. Il quadro è difficile, perché i Paesi sponsor dell’alternativa al governo riconosciuto dall’Onu insistono ad affiancare il generale Khalifa Haftar.

Proprio quando Haftar invoca l’ora zero, l’interesse straniero sul territorio potrebbe incidere negativamente sul tenore del conflitto? Gli Usa mantengono ancora un certo distacco dal dossier libico?

Gli Usa si trovano in una situazione difficile, perché quando non si sa cosa si vuole, allora è complicato realizzare politiche mirate. È sufficiente vedere come si comportano in Siria, dove sono presenti con una decisione dell’ultimo minuto, mentre in Libia non sono presenti dove la pressione è ancora minore. Se gli Usa sono già entrati in campagna elettorale, allora l’interesse dei decisori è concentrato sempre più sul solo agone interno e tutto ciò che si trova all’estero avrà una rilevanza solo se esposto a “pacchetti di consenso”.

Mosca, che considera la Libia parte strumentale della propria strategie mediterranea, con l’invio dei contractors in loco come potrà incidere nel brevissimo periodo?

Ai russi è già riuscito di riconfermare la propria posizione in Siria. Anche in Libia avevano qualche legame, ma meno forte rispetto a Damasco: Gheddafi dava il permesso di ancoraggi, ma non di basi permanenti. L’interesse russo da un lato vuole rimarcare una presenza nel Mediterraneo e dall’altro approfittare di una situazione confusa da cui potrebbe nascere un vantaggio. Ma i russi in Libia fino ad oggi non si sono impegnati come hanno fatto in Siria, dove vi erano motivi geostrategici e legati al terrorismo molto più cogenti. La Libia per ora è un elemento secondario e il fatto che abbiano inviato i contractors è un chiaro segno che ancora si tratta di un impegno preliminare, anche se già la sola presenza indica una intenzione. I contractors, poi, sono sempre aumentabili, riducibili o spendibili mentre invece in Siria sono intervenute direttamente le forze armate russe, in aggiunta ai mercenari, esattamente come da modello americano.

La Turchia sta sorpassando l’Italia come attore protagonista in Libia?

Rispondo con un’altra domanda: quanto si sta muovendo l’Italia e quanto la Turchia?

In questo senso va letta la visita nel Paese del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio? E come potrà intensificare il ruolo italiano su uno scacchiere strategico anche e soprattutto per i nostri interessi?

Una dichiarazione sullo scacchiere strategico è una dichiarazione politica, che ha il peso equivalente. Dopo di che alle dichiarazioni devono seguire le azioni, altrimenti si tratterebbe solo di parole interessanti. Quale vuol essere l’azione italiana in Libia? Abbiamo svolto già alcune conferenza sul tema, ma la lezione russa in Siria è che gli incontri vanno benissimo, ma un momento dopo occorre dialogare con gli Stati-sponsor della guerra per procura e cercare un accordo per agire. C’è tutto questo da parte italiana? Se Roma inizierà a parlare con turchi, sauditi, emiratini, egiziani, russi, americani e gli altri soggetti coinvolti per ottenere un accordo che sia propedeutico ad un’azione, allora avremmo un’ottima notizia.

Cosa si rischia invece a ridurre il dossier libico al solo tema migratorio?

Saremmo accontentati dall’autorità libica di turno, ma per tutto il resto non avremmo alcuna influenza.

L’ex viceministro degli Esteri Mario Giro ha scritto che in Libia rischiamo di perdere tutto, alla fine anche il petrolio. Un’iperbole o un rischio concreto?

Si tratta di un uomo che ha esperienza di Africa e del relativo terreno. Al netto di tutte le analisi dietrologiche che si possono fare sul perché lo abbia scritto, è sufficiente fare la lista degli interessi che avevamo in Libia ai tempi di Gheddafi. Chi li tutela oggi? La Francia? L’Egitto? Gli Usa? Domande semplici, con risposte altrettanto semplici: chi non tutela in prima persona i propri interessi in modo concreto, ahimè non può aspettare che vengano tutelati da altri.

twitter@FDepalo

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