Bisogna far presto a risollevare le sorti dell’ex Ilva. E bisogna farlo tracciando una linea “verde”, tutta dedicata al grande stabilimento siderurgico tarantino, all’interno della nuova proposta europea sullo sviluppo sostenibile targata Ursula von der Leyen. Anche perché tra 24 ore l’altoforno numero due dovrà esser spento (le operazioni di avvio di questa fase avranno da subito un immediato impatto sul lavoro), così come ordinato dal giudice in seguito alla decisione di rigettare la proroga della facoltà d’uso chiesta dai commissari in amministrazione straordinaria (i tre mesi concessi dal tribunale del riesame per adeguarsi alle prescrizioni scadono infatti oggi).
E la proposta del Green new deal europeo, declinata in 50 passi, che vale quasi 300 miliardi potrebbe essere quello che ci vuole. Al suo interno infatti è contemplato un Fondo ad hoc per industrie e aree di crisi con la definizione estesa soprattutto e ovviamente agli aspetti di natura socio-economica: il Just transition fund potrebbe portare le risorse necessarie per “salvare” la fabbrica di acciaio. Il premier Giuseppe Conte è stato piuttosto chiaro sul punto: “Dobbiamo usare anche la leva finanziaria; e lo stesso Fondo può essere uno strumento, perché c’è un impatto economico e sociale, nella transizione energetica”.
Il tema vero – di cui si parla insistentemente – è che il governo starebbe mettendo a punto un decreto legge; ma la novità non sarebbe tanto sulla “forma” quanto sul contenuto. Perché sembra che, a parte le misure salva-occupazione, non ci si concentri tanto sull’azienda, e sulla questione dello scudo per Arcelor Mittal, quanto si stia puntando sulla città di Taranto.
Senza dimenticare che i lavoratori dell’Ilva, poco meno di due anni fa alle politiche, avevano votato quasi in massa il Movimento 5 Stelle, i vari passaggi conducono a una duplice lettura politica: da un lato c’è la mano tesa ai cittadini così come aveva detto e voluto lo stesso Conte quando incontrò i lavoratori il mese scorso, dall’altro la necessità di mostrare fermezza di fronte all’impresa, specie con le trattative in corso. E lo scontro sempre più acceso sugli esuberi (pari a circa 4.700).
Il decreto in questione – nelle intenzioni di Palazzo Chigi – dovrebbe contenere un pacchetto di misure in scia con il ampio percorso del Green new deal italiano, tenendo anche presente che alla Manovra si abbina il provvedimento “collegato” proprio sullo sviluppo sostenibile. Contemporaneamente l’azione si apre all’Europa per reperire maggiori risorse, sia trovando una sponda nei maggiori margini per la flessibilità con lo scorporo delle spese dal Patto di stabilità, e sia cercando un aggancio al Fondo per la transizione. La strategia del provvedimento dovrebbe poggiare su cinque capisaldi: una presenza diretta dello Stato nel capitale dell’acciaieria, la soluzione però è ancora da definire; largo alle nuove tecnologie, le migliori disponibili, pensando soprattutto al gas (si pensa a Snam); aumento della produzione, in modo da riuscire a garantire livelli occupazionali più alti insieme all’accompagnamento della cassa integrazione per tre anni; più velocità per gli investimenti e la riqualificazione ambientale; e poi una cifra sostanziosa per l’area di Taranto (che dovrebbe aggirarsi intorno a un miliardo). Un piano che richiederebbe un investimento superiore a 3 miliardi, e che oltre ad avere un impatto consistente con un taglio delle emissioni in media di circa il 25%, riuscirebbe portare la produzione a 8 milioni di tonnellate all’anno per il 2023.
La parola finale, che spetta a Conte, sembra già essere arrivata nel corso degli impegni al vertice Ue: “L’Italia è in prima fila per la transizione energetica, abbiamo una posizione di leadership per il Green new deal. Ci batteremo perché alcuni dei fondi possano essere utilizzati per la transizione nei vari settori industriali. E l’Ilva rientra in questa logica”.