Se dovessero dimettersi tutti i ministri di tutti i governi ai quali mancano le risorse per le attività che, a loro parere, sono indispensabili al buon funzionamento del loro settore, allora sì che avremmo il tanto auspicato “uomo solo al comando”. Questo mio incipit segnala che non credo proprio che le dimissioni del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, in quota, come si dice, al Movimento 5 Stelle, siano spiegabili completamente guardando alla mancanza di fondi per la scuola che lui desiderava. Tuttavia, è indubbio che né la scuola né l’Università né la ricerca costituiscano priorità di questo governo, e dei “pochi” altri governi che l’hanno preceduto, né, azzardo, di quelli che lo seguiranno.
Migliorare scuola, università, ricerca sono obiettivi nobilissimi, non conseguibili in tempi brevi e che portano pochissimi voti. Tutti coloro, a partire dai commentatori e dai loro quotidiani, che si occupano di scuola ecc. saltuariamente alcune giornate all’anno, quando escono i dati comparati che rivelano (sic) che siamo messi molto male, si stracciano le vesti (firmate). Raccolti più o meno autorevoli pareri sul perché l’Italia va male, versate alcune, mi raccomando non troppe, lacrime di coccodrillo, tiremm innanz. Questo è lo sfondo che non poteva non essere noto a Fioramonti il quale, dunque, avrebbe dovuto da subito dichiarare che accettava il compito di ministro a condizione di avere a disposizione una certa somma da impiegare per un intervento sostanzioso e di lungo respiro per, ripeto, scuola, università, ricerca.
Su Facebook, Fioramonti sostiene di avere comunicato per tempo le sue intenzioni: preventivamente ai designatori?, poi al Presidente del Consiglio?, infine, nel Consiglio dei ministri? Può darsi anche no. Vorrei, però, che nessuno perda di vista il punto: senza una buona scuola (ahi, la citazione m’è sfuggita), senza un’ottima università, senza una ricerca adeguatamente finanziata, l’Italia non riuscirà mai più a crescere, se non con qualche inopinato sobbalzo, e i “cervelli” continueranno tristemente, per loro e per il Paese, ad andarsene. Il presidente del Consiglio, al quale spetta (sic) il potere di nomina dei ministri, e i Cinque Stelle, non so in quale ordine, sostituiranno Fioramonti, ma chiunque gli succederà, donna o uomo, continuerà a non avere i fondi necessari.
Nel frattempo, interroghiamoci pure sugli effetti relativamente alla stabilità del governo Conte, agli equilibri (parola grossa) dentro il Movimento 5 Stelle, addirittura alla formazione di un nuovo gruppo a fondamento prossimo venturo di una Lista Conte (sottotitolo “per altri anni bellissimi”). Il problema è altrove: investire nella formazione e nella ricerca. Per il (futuro del) governo, mi pare che continuino inesorabilmente a prevalere due motivazioni fortissime: tenere lontano Salvini e il centrodestra nella speranza, credo flebile, di qualche avvenimento imprevedibile a favore del Movimento e/o del Partito democratico; arrivare fino al gennaio 2022 per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica.
Questa è la struttura politica della situazione, mentre la struttura economica è costituita dal macigno del debito pubblico che non si riduce. La congiuntura politica, oltre che dalle elezioni regionali, nell’ordine d’importanza, dell’Emilia-Romagna e della Calabria, è costituita, seppure con pesi diversi, dalla leadership dei due maggiori partiti di governo: in caduta libera la leadership di Di Maio; stagnante, senza nessun presagio di impennata, quella di Zingaretti. Quindi, anche se si formano gruppi e gruppetti, partitini e listine, nessuno dei quali, peraltro, ha interesse a nuove elezioni, l’anno 2019 si chiude sotto l’egida di un autorevole invito che viene dal passato, ma guarda al futuro: “Adelante con juicio”.