Un tempo non era così, ma oggi che la democrazia si è estesa e allargata fino agli estremi dell’“uno vale uno”, e il personale politico non viene più selezionato accuratamente, trovare una persona di solida cultura che faccia politica e rifletta su di essa con consapevolezza è veramente qualcosa fuori dal comune. Questa qualità ad Antonio Funiciello, che la politica l’ha fatta come consigliere di Matteo Renzi e poi come capo staff di Paolo Gentiloni, gliela riconoscono un po’ tutti, ed io che lo conosco da tanti anni, e non sempre condivido le sue posizioni politiche, non posso dare atto a chi ne loda le capacità di essere nel giusto. Alla fitta schiera degli estimatori di Antonio ieri si sono aggiunti gli illustri relatori che hanno presentato in Luiss il suo ultimo libro: Giuliano Amato, Stefano Battini, Alberto Gambescia, Luigi Fiorentino, Gianni Letta, Giovanni Orsina e Marcella Panucci.
Il primo elemento da considerare è il titolo del volume, che è uscito qualche mese fa per Rizzoli: Il metodo Machiavelli. Il leader e i suoi consiglieri: come servire il potere e salvarsi l’anima. Ora, la prima impressione che si potrebbe avere è quella di trovarsi davanti ad uno dei tanti testi sull’argomento scritto giusto per mettere un titolo in curriculum, con il nome di Machiavelli bene evidente perché alla fine il Segretario fiorentino tira sempre. Nulla di più sbagliato. Il volume, in uno stile chiaro e con encomiabile capacità di scrittura, anche con molti aneddoti ed episodi di vita vissuta, prende sul serio il tema che si è dato: chi è, cosa fa e come dovrebbe farlo un vero consigliere della politica. E chi meglio di Machiavelli ha svolto questo mestiere, fino ad oscurare nella storia il nome dei consigliati e a diventare addirittura, come dice l’autore, un aggettivo: “machiavellico”, appunto.
Ma cosa significa consigliare un potente? Prima di tutto stare sempre un passo indietro rispetto a lui, anzi scomparire (il libro è dedicato “a chi lavora nell’ombra). Il che, come ha sottolineato Amato, non significa essere meno ma in qualche modo ancora più ambiziosi di chi cerca effimera gloria e insegue vanità personali. L’ambizione è quella di decidere le politiche del capo, o almeno influire decisamente su di esse, ma far apparire all’esterno costui come il vero decisore. Decidere per il suo bene, ovviamente. E quindi avere la capacità e la forza di contraddirlo, di fargli vedere le cose che non vede, di metterlo davanti alle zone buie del suo operato anche quando ad esso sembra arridere il massimo consenso. In una parola: non essere uno “yes man”, essere leale ma non fedele. Anche perché la fedeltà è dei cani (con rispetto parlando) e cambia ad ogni stormir di fronda, con il mutare delle fortune umane. Le pagine del libro contro gli adulatori sono da leggere e rileggere, anche perché quella del lecchinaggio è professione sempre florida e deleteria. Per lo stesso capo, a ben vedere. Chi meglio di Gianni Letta ha impersonato il ruolo di “consigliere scomodo”? Lo ha fatto con Silvio Berlusconi, che, va sottolineato, sempre gli ha concesso di farlo. E sempre, come ha sottolineato nel suo intervento, è stato rispettoso degli spazi di azione e di autonomia concordati in anticipo.
Il potente però deve circondarsi di più consiglieri, ovviamente tutti rigorosamente selezionati, e saper fare la sintesi dei loro consigli (Benedetto Croce ha scritto che “l’opinione è dei molti, il consiglio dei pochi e la decisione di uno solo”). Funiciello, in un gustoso capitolo del suo libro, che un po’ tutti hanno citato, prende ad esempio i dodici apostoli, che senza nessuna irriverenza può dirsi che fossero il team di Gesù Cristo: ognuno con le sue competenze, sensibilità, capacità. Che sono anche di tipo psicologico, come ha sottolineato la Panucci che, prima di diventare direttore generale di Confindustria, ha anche lei svolto un ruolo di consulenza: sapere come, quando, in che termini, sottoporre al capo determinate istanze che per lui si ritengono essenziali non è secondario. Rigorosa anche la distinzione da compiere fra consulente e burocrate, anche se il consulente deve rispettare la burocrazia e fare da cerniera fra la visione politica del capo e la “neutralità” che essa deve per forza avere. Letta si è detto molto contrario allo spoil system, che nella nostra cultura non poteva funzionare: nel perimetro del nostro Stato un corpo amministrativo che si politicizza fa perdere un forte fattore di coesione ad una nazione che non ne ha molti altri e che è attraversato storicamente da faglie di divisione, sociali, culturali e geografiche, non indifferenti. Il vero consigliere sa anche che la politica essendo una attività intrinsecamente connessa alla vita non può aspirare alla perfezione, errore fatale del secolo scorso secondo Giovanni Orsina. Il quale ha pure opportunamente richiamato la necessità che la formazione politica si faccia nel concreto dell’esperienza oltre che sui libri: la politica non è scienza anche se ha certamente anch’essa una sua razionalità.
Tanti gli spunti di riflessione, davvero. E la consapevolezza anche che, fra semplificazioni e polarizzazione del dibattito pubblico, per la Politica con la p maiuscola il nostro non è un tempo propizio. Se ne vedono le conseguenze.