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La casa unica per la famiglia è bislacca e nuoce. Giacalone spiega perché

La legge di Bilancio cambia nel mentre la scrivono, senza per questo riuscire a trovare un significato. Era la ragione per cui il precedente governo è caduto, dato che la distanza fra le parole e i fatti, fra le promesse e le possibilità aveva superato la gittata di quale che sia ponte, sicché il cambio di maggioranza doveva servire a non farsi subito punire dagli acquirenti del debito pubblico e a rimettere non certo a posto le cose, ma almeno il treno sui binari.

Ora è la dimostrazione del perché quel treno può forse durare, ma non viaggiare: la locomotiva l’hanno messa al centro e i due tronconi pensano di andare in direzioni opposte, mentre a bordo c’è anche gente che pensa i treni vadano di lato. Create e distrutte non poche iniziative, ipotizzate e abortite non poche tassazioni, superato lo stadio onirico in cui si suppone che non procedere a nuove tasse o loro aumenti equivalga al cancellare o diminuire i prelievi fiscali, si constata l’insipienza del moralismo fiscale.

La dottrina per cui le tasse sono sempre in diminuzione, salvo che per i cattivi, meritevoli di spremitura. L’ultima trovata di codesta bislacca scuola è la casa unica per famiglia. Già, perché ci sono malfattori che, avendo due case, fingono che il marito risieda in una e la moglie in altra. Non si oserà mica difendere i ladri? È più semplice: non funziona e nuoce, per le ragioni che seguono.

Il domicilio non lo si fissa ciascuno dove gli pare, ma dove si trova la dimora abituale. Tanto è vero che il comune presso cui la si fissa è tenuto a controllare che sia reale. Se uno dei due coniugi fa il salumiere a Bergamo e l’altro il professore a Bari è largamente probabile che si incontrino il fine settimana, il che sposta in due diversi posti la loro dimora abituale, vale a dire il domicilio. Anche perché a quello è legata, ad esempio, l’assistenza sanitaria e altro ancora. Se hanno due case di proprietà essi saranno una sola famiglia con due abitazioni principali. Quando la prodigiosa idea di cancellarne una dovesse passare a loro basterà fare ricorso e, prima o dopo, la Corte costituzionale riconoscerà che o si cambia legge e concetto di residenza, oppure non si può negare a un cittadino quel che è concesso a un altro, avendo il primo la colpa d’essersi sposato.

2. Difatti questa è la prima conseguenza: sposarsi non conviene fiscalmente (al netto di altri inconvenienti), mentre separarsi, ove mai si sia commesso l’errore, è saggio. E questo è il bello di avere governanti con le fidanzate e i fidanzati: oltre a scarsa dimestichezza con il lavoro s’aggiunge scarsa frequentazione dell’altrui normalità.

3. Ma ci sono i truffatori, quelli che fissano le residenze apposta per non pagare l’Imu. È effettivamente vero che se buchi le ruote a tutti nessuno viola i limiti di velocità, ma sarebbe forse meglio individuare i fenomeni, piuttosto che punire tutti. Ma a parte questo, c’è molto di più: gli italiani hanno un patrimonio molto importante, nettamente superiore a quello dei tedeschi, tanto per paragonarsi, i ricchi, patrimonialmente parlando, siamo noi.

Se quel patrimonio viene preso come occasione di sempre crescente tassazione, facendovi anche insistere patrimoniali mascherate, quale è la tassa sulla spazzatura (Tari), e se lo si fa nel mentre il Paese non cresce e, quindi, la ricchezza disponibile si contrare, si possono ottenere uno dei tre seguenti risultati: a. i soli non li ho, quindi evado (tanto poi c’è sempre qualcuno che mi difenderà e condonerà); b. di soldi ne ho meno e ne spendo moltissimi per pagare le tasse, sicché non chiedetemi né di risparmiare né di consumare, con il che s’ammoscia tutto; c. i soldi li ho finiti, ma sono onesto, quindi vendo un bene immobile per onorare i debiti con il fisco. Possibilità che, essendo indotta dalla pressione fiscale, quindi a valenza generale, porta con sé l’aumento delle vendite a fronte della diminuzione degli acquirenti, ergo il crollo dei valori immobiliari.

Che è come spararsi sui genitali, visto che quei valori ancora raccontano la sostenibilità del debito.
Capisco la disperazione fiscale e il connesso moralismo di chi cerca motivazioni per esigere soldi, ma non c’è governo che possa mai sfuggire a tale trappola se non prendendo in seria considerazione non dico il taglio, ma quanto meno la non crescita della spesa corrente e l’applicazione della patrimoniale a sé stesso, allo Stato, vendendo, anziché ai cittadini. E se non ci si riesce ora che i tassi d’interesse sono bassi figuriamoci cosa succederà quando dovessero salire. Ma so benissimo d’essere fuori tema, che la politica s’occupa d’altro. L’assenza di competenza, nel distrarsi, aiuta.


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