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Cosa resterà della baruffa sul Mes. L’analisi di Giacalone

Ce ne ricorderemo, di questo Mes, Fondo salva Stati o European Stability Mechanism che dir si voglia. E faremo bene a ricordarcene, perché l’alticcia baruffa che lo accompagna segna un punto di svolta nella condotta che concilia ignoranza e arroganza: la realtà non conta più, quel che rileva è l’affabulare dell’imbonitore.

Abbiamo un problema? Sicuro: il debito eccessivo e, per giunta, in crescita. No, non corriamo l’immediato rischio di bancarotta, al contrario di quel che lasciano credere i vocianti incoscienti che strillano sul Mes come se potesse servirci, in quanto, appunto, in bancarotta, ma no, non lo corriamo, per due ragioni: è vero che il debito è enorme e patologico, ma quello aggregato, pubblico più privato, è in linea con gli altri europei, mentre il patrimonio delle famiglie supera di più di tre volte il debito. Due dettagli: la prima cosa significa che il credito lo assorbe lo Stato anziché le imprese, il lavoro e le famiglie (male) e la seconda che la patrimoniale è sempre dietro l’angolo (peggio). Ergo l’interesse degli italiani è che ci sia un Fondo salva Stati, perché da una parte tarpa le ali agli avvoltoi, dall’altra, nel malaugurato caso del bisogno, i soldi potrebbero trovarsi lì e non a casa (letteralmente) nostra.

C’è un pericolo? Certo che c’è. Quando le norme sulle risoluzioni bancarie (bail in) erano in arrivo il governatore della Banca d’Italia, Visco, andò in Parlamento a dire: ci siamo quasi, qualcuno avverta gli italiani. Non lo fece nessuno. Forse neanche lo capirono. Poi arrivarono le crisi bancarie e fu una gara a chi ci metteva più soldi del contribuente, naturalmente a salvaguardia del supposto risparmiatore. Tanto il contribuente può essere dissipato a piacimento.

Ora Visco, largamente equivocato e citato a sproposito, dice: occhio che il pericolo c’è. Perché? Perché se le valutazioni, sul debito, da politiche diventano tecniche devi solo sperare che non ci siano incidenti, visto che in quel caso sarà osservato che l’Italia è non solo troppo indebitata, ma governata da curiosi soggetti che s’industriano ad ampliare la spesa corrente improduttiva.

Gente che ora starnazza reclamando di potere avere i soldi senza condizioni, in questo modo confermando ogni peggiore pregiudizio altrui. Solo che il problema non è la calcolatrice, ma l’incoscienza dell’aggiungere addendi a una somma che genera un totale pericoloso. E non bastasse questo ora l’ossessione avverso la “ristrutturazione” del debito, il cielo non voglia, ovvero il taglio del suo valore, è roteata siccome durlindana dagli stessi che ieri dicevano: mica è mio quel debito, non paghiamolo. Peccato che, al di là della loro sprovveduta dabbenaggine, quel debito sia per più del 70% dentro i confini, sicché tagliarlo sarebbe come quello che si castrò per dispettoso desiderio di lasciar la moglie a stecchetto (ove mai si possa suggerire l’eterosessualità senza incorrere nella sanzione del politicamente corretto, alla grappa), mentre, ora, paventare la ristrutturazione equivale a confessarlo insostenibile. Castrati e tafazzisti in un colpo solo.

Avremmo tutto l’interesse a che le cose procedessero silenti, anche approfittando del buon lavoro svolto dal prof. Giovanni Tria, che se non ricordo male fu ministro dell’economia con Di Maio e Salvini vice presidenti, nell’era in cui il governo Conte 1 faceva le cose che fa il Conte 2, ma con maggioranza diversa, talché chi era contro ieri ora è dentro e chi era dentro ieri ora è contro.

Ma vuoi mettere la lussuria di una bella scazzottata politicista, con sorriso o corruccio a favor di telecamera, inscenata allo scopo di far vedere che chi prende la parola sa usarla anche se non troppo conoscendone il significato? Tanto a prenderla seriamente saranno solo gli sciocchi come chi qui firma, giacché gli altri andranno in sollucchero per la sceneggiata: non lo vedi che è solo un film? No, vedo che alla fine mi toccherà pagare. E non mi piace.

Quel che difetta, però, è la lucidità di Ettore Petrolini, che più volte interrotto e insolentito da un maleducato, che credeva d’esser ficcante e intraprendente, s’avanzò sul proscenio e si rivolse alla balconata: non ce l’ho con te, perché tu così ce sei nato, ce l’ho con chi te sta accanto e nun te butta de sotto.


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