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La filosofia della “Green tax” che il Paese rifiuta

L’obiettivo è che la legge di Bilancio, entro l’anno, sia approvata dai due rami del Parlamento ed inviata ai vertici Ue per il disco verde finale. Subito dopo si aprirà la caccia alle risorse continentali rivolte allo sviluppo ed, in particolar modo, a sostenere il cosiddetto “Green new deal”.

Gli investimenti Ue

Infatti, il programma di investimenti europei si basa su una garanzia di 38 miliardi di euro per muovere almeno 600 miliardi da investire nell’arco temporale tra il 2021 e il 2027. Sono soldi freschi rivolti soprattutto alle politiche energetiche ed ambientali. La struttura di questa mole di investimenti coinvolge soggetti diversi dalle risorse pubbliche degli stati nazionali: le banche nazionali, la Banca europea per gli investimenti, gli investitori istituzionali. Si tratta di un treno che il Paese non può perdere. E a questo appuntamento dobbiamo arrivarci nel migliore dei modi. In effetti, qualche passo nel verso giusto è stato compiuto. La filosofia del “Green new deal” mal si concilia con ogni tipo di “Green tax”: la “Plastic tax”, così come concepita dall’esecutivo in carica è stata l’esempio di questa dicotonomia filosofica.

Il caso della “Plastic tax”

La tassazione in questo delicato settore non può rappresentare in alcun caso la soluzione ad un approccio di economia sostenibile basata su provvedimenti necessariamente ambientali. Prima di tutto, perché non esiste tuttora in Italia un piano concordato tra governo e parti sociali sul tema in questione. Poi, per entrare nello specifico, perché l’applicazione della tassa sulla plastica presenta problemi di concreta applicabilità: il pagamento è pro quota ed è esclusa dalla tassazione la parte riciclata. In ogni caso, dopo le proteste giunte da ogni dove, cioè da imprese, lavoratori e consumatori, il governo ci ha messo una pezza. Il dicastero dell’Economia e Finanza ha aperto un tavolo invitando tutte le parti coinvolte per concordare un vero e proprio Piano della plastica. Fin da subito ha determinato, però, delle correzioni al provvedimento della “Plastic Tax” rispetto al testo ch’era uscito originariamente dal Consiglio dei ministri. Per quanto riguarda le incongruenze ne ha abbassato il peso ed ha valorizzato l’incentivo sull’utilizzo della materia prima riciclata. Tradotto: una drastica riduzione della tassazione e contributi alla riconversione produttiva. Sono evidenti nel nuovo testo uscito dalla sede del Mef i riferimenti alla “riconversione degli impianti da plastiche chimiche a riciclato e-o plastiche compostabili” per le quali si potranno adottare incentivi cumulabili a quelli del piano Industria 4.0 “nel caso di miglioramento dell’automazione oppure i titoli di efficienza energetica-uso risorsa idrica”. Nel medesimo testo risaltano pure gli espliciti riferimenti “all’industrializzazione sui nuovi ambiti di applicazione di plastiche riciclate nel packaging” e riprogettazione per imballaggi 100% riciclabili” sull’ecodesign. E’ importante che ora il Ministero dello Sviluppo economico garantisca i fondi necessari agli incentivi definiti. Ed è altrettanto importante che la novità del tavolo tra le parti, aperto al ministero guidato da Roberto Gualtieri, possa rappresentare una prassi da estendere anche alle altre problematiche energetiche.

Il Piano della Plastica sostenibile

Insomma, il lavoro riguardante il Piano nazionale della Plastica sostenibile potrebbe essere allungato. Fin qui ha cercato di incentivare la conversione delle filiere produttive, ridurre l’uso della plastica nella pubblica amministrazione, sensibilizzare cittadini e consumatori, far partecipare le aziende ai processi di smaltimento e riciclo, impegnare gli incentivi esistenti a sostegno del rinnovamento tecnologico, offire un sostegno per nuovi materiali ecocompatibili.

Divulgare l’educazione civica

Si può fare di più. A partire dal sostegno alla cultura del rispetto e del recupero di quel che si trova in natura o che è usato nei consumi quotidiani. E in questo senso di responsabilità che poggia il cambio di paradigma dall’economia lineare a quella circolare. Una sorta di educazione civica che va divulgata, condivisa ed osservata. E’ questo il giusto punto di partenza perché anche in Italia si possano far interagire tra loro i fattori dell’occupazione, della produzione e dell’ambiente. E’ il “passepartout” fondamentale per aprire ed utilizzare le risorse disponibili nel vecchio continente.


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