Ieri ricorrevano 76 anni dalla morte di Giaime Pintor, un grande eminente figura della cultura italiana di quegli anni, ucciso da una mina nel 1943 a soli 24 anni mentre cercava di unirsi a una formazione combattente partigiana.
Pintor è stato una delle promesse della letteratura italiana contemporanea. Giaime si era già affermato con i suoi studi di letteratura tedesca È considerato un suo merito il rilancio del socialismo risorgimentale di Carlo Pisacane, di cui ha curato “Saggio sulla rivoluzione”. Durante un periodo di soggiorno a Torino, come ufficiale di complemento, il giovane intellettuale aveva lavorato con Cesare Pavese e Leone Ginzburg all’impianto e ai primi successi della allora neonata casa editrice Einaudi, presso la quale sono poi uscite postume molte delle sue opere.
Si può affermare che i pensieri di Pavese più favorevoli alla Germania, rispetto soprattutto alla forza culturale del Paese teutonico, siano stati indotti proprio da Pintor. Negli anni precedenti alla sua tragica scomparsa è stato proprio lui l’amico più vicino a Pavese. Pintor, senza che Pavese lo sapesse, era morto a Castelnuovo sul Volturno, saltando su una mina tedesca mentre cercava di passare le linee per unirsi alla Resistenza nel Lazio. I due avevano improvvisamente interrotto i loro rapporti per le vicissitudini dell’Italia divisa in due dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Ma la figura di Giaime Pintor l’ha ben tratteggiata Lucio Lombardo Radice, in un articolo per “L’Unità” risalente a ben 46 anni fa: “Giaime, fin dagli anni liceali – ha scritto- aveva di fronte a sé un programma di vita e di lavoro chiarissimo. Il fascismo lo ripugnava intimamente, ma non voleva farsi bruciare dalla cospirazione antifascista. Non voleva andare in galera, ce lo diceva schiettamente e lucidamente. Ci aiutava in molti modi impegnandosi in verità via via sempre di più, con l’inasprirsi della lotta, ma senza mai entrare egli stesso come protagonista nella cospirazione. Riteneva tutto sommato più importante, anche per la causa antifascista, che egli diventasse un uomo di cultura dl primo piano, che conquistasse la possibilità legale di esercitare una influenza formativa larga e pubblica, anziché restringere la propria vita in una testimonianza che egli rispettava moralmente ma giudicava (nel suo caso almeno) non produttiva”.
Eppure, quell’uomo di cultura alla fine compie una scelta radicale. La racconta Lorenzo Mondo: “L’intellettuale che ha fatto divisa della sua irrequietezza, il disadattato tenente dell’esercito italiano, lungi da confidare nella Repubblica sociale, ha maturato una scelta opposta e tranciante. Riservandosi un posto di combattimento che lo porterà all’estremo sacrificio”.
Pavese perde l’amico Pintor. Il 4 febbraio, dopo esser stato arrestato a Roma e torturato, muore pure l’altro suo amico Leone Ginzburg. L’autore che sta per scrivere “Dialoghi con Leucò” si sente solo e così si dibatte tra i suoi fantasmi. Afferma: “Esistono altri per noi? Vorrei che non fosse vero, per non star male. Vivo come in una nebbia, pensandoci sempre, ma vagamente”.