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La legge che serve alla Difesa italiana. Il punto di Nones (Iai)

Una legge che assicuri stabilità finanziaria ai programmi della difesa, smarcando il settore dai repentini cambiamenti politici e offrendo alle Forze armate gli strumenti adatti a un contesto in sempre più rapida evoluzione sempre. È qui che il ministro Lorenzo Guerini “potrebbe giocare la sua partita più importante per lasciare in eredità al nostro Paese una Difesa più efficace di quella che ha trovato”. Almeno secondo l’analisi pubblicata su AffarInternazionali di Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai).

UN PROBLEMA STORICO

La questione è nota da tempo. “Uno dei maggiori problemi della nostra difesa è da sempre quello di non avere alcuna certezza sull’entità dei finanziamenti disponibili negli anni successivi”, spiega l’esperto. “La proiezione triennale della Legge finanziaria è, infatti, poco più che indicativa e soggetta ai repentini cambiamenti dei nostri governi e delle loro scelte economiche”. Un problema reso ancora più spinoso “dal fatto che le Forze armate sono storicamente in affanno e in ritardo nell’ammodernamento degli equipaggiamenti che hanno un ciclo pluridecennale”, in un mondo di minacce che accelerano e di fronte a partner che “utilizzano strumenti di pianificazione finanziaria pluriennale”.

RISPOLVERARE IL LIBRO BIANCO

Da tale esigenza nasceva la proposta del Libro bianco della Difesa del 2015 per una legge sessennale, da aggiornare ogni tre anni, per i maggiori investimenti del dicastero. “I due principali obiettivi di questa proposta – ricorda Nones – erano dare certezza di pianificazione alle Forze armate e all’industria, offrendo una visibilità di medio periodo sulle risorse e sui programmi sostenibili; e offrire al Parlamento la sede per un efficace confronto sulle scelte da compiere nel campo degli investimenti e assicurare all’opinione pubblica un’adeguata trasparenza”. Obiettivi che restano validi anche oggi. “Una legge sessennale efficace dovrebbe assicurare una programmazione nel medio termine, aggiornabile con cadenza triennale e inserita nell’ambito della programmazione finanziaria nazionale”, nota il vice presidente dello Iai.

TRA MODIFICHE E TRASPARENZA

In particolare, “questo imporrebbe la modifica dell’articolo 536, comma 3, del Codice dell’Ordinamento militare, mediante l’inserimento di tale nuovo meccanismo di finanziamento per i maggiori programmi di sviluppo, acquisizione e supporto logistico necessari al conseguimento degli obiettivi delle Forze armate, con particolare attenzione per quelli europei ed internazionali”. Tra gli effetti di tale modifica, ci sarebbe l’incremento della trasparenza delle scelte su investimenti e programmi. “All’atto della presentazione – spiega ancora Nones – il ministro della Difesa dovrebbe illustrare al Parlamento il quadro generale delle esigenze operative delle Forze armate, comprensivo degli indirizzi strategici e delle linee di sviluppo delle capacità, nonché l’elenco dei programmi in corso e il relativo piano pluriennale di programmazione finanziaria, indicante le risorse assegnate a ciascuno di essi”. In più, “ogni anno fino alla scadenza triennale vi dovrebbe essere un aggiornamento sull’evoluzione dei programmi approvati”.

CINQUE AREE DI RESISTENZA

Se il problema è noto da tempo, così come lo sono i benefici della riforma, perché non si è mai proceduto in tale direzione? “Si può ipotizzare – risponde Nones – che sia la conferma della mancanza di una cultura della difesa e della sicurezza e della conseguente scarsa attenzione per i problemi di questo settore”. Oppure, potrebbe essere il fatto che “non sia considerato un obiettivo pagante sul piano elettorale”, o ancora che “essendo una riforma a costo zero e tendenzialmente bipartisan, si presti poco alle costanti polemiche che stanno caratterizzando il dibattito politico italiano”. Eppure, l’esperto dello Iai nota cinque aree di resistenza alla riforma: nella Difesa, nel Parlamento, al Mise (che attualmente concorre agli investimenti per il settore), al Mef e nell’industria nazionale.

TRA DIFESA E PARLAMENTO

Secondo Nones, ci sono opposizioni interne alla Difesa “perché una pianificazione pluriennale irrigidirebbe le scelte sulla distribuzione delle risorse fra i diversi programmi e impedirebbe di farle condizionare annualmente dall’assetto del vertice delle Forze armate e di tentare di ottenere finanziamenti settoriali, imponendo conseguentemente un effettivo approccio interforze”. Per quanto riguarda gli aspetti parlamentari, le resistenze esistono “perché questa impostazione costringerebbe a superare la procedura attuale che prevede il parere parlamentare su ogni singolo programma della Difesa consentendo spesso ai parlamentari di esercitare un’influenza ai propri fini elettorali e, ogni tanto, di attizzare strumentali polemiche politiche”.

MISE, MEF E INDUSTRIA

Al dicastero dello Sviluppo economico la riforma verso uno strumento pluriennale potrebbe non piacere “perché si ricondurrebbe a unitarietà i finanziamenti sulla base dell’esigenze delle Forze armate, evitando ogni interferenza politica e sociale, ma anche di lobbying industriale”. All’Economia e Finanze, le resistenze ci sarebbero invece “perché si ridurrebbe, seppur parzialmente, l’attuale discrezionalità nella preparazione della manovra di bilancio annuale”. Infine nel comparto industriale, le opposizioni sarebbero legate al fatto che “la programmazione degli investimenti più importanti stroncherebbe ogni speranza di poter ottenere l’anno successivo, attraverso un’adeguata attività lobbistica, il finanziamento di un programma che risultasse escluso”. In tal senso però, la riforma pluriennale “eviterebbe la diffusa prassi di avviare programmi slegati dalle esigenze delle Forze armate (ma inizialmente finanziate da altri fondi pubblici o da clienti esteri) che poi, per ragioni politiche e sociali, finiscono con il diventare di interesse della Difesa o addirittura prioritari”.

LA PROVA DI GUERINI

Sono queste le resistenze che dovrà superare Lorenzo Guerini, che nelle sue linee programmatiche ha inserito tra gli obiettivi “uno strumento pluriennale che assicurerebbe stabilità di risorse e opportuna supervisione politica del Parlamento sulle scelte più rilevanti”, portando tra l’altro come esempio i “fondoni” quindicennali già adottati da altri amministrazioni centrali. È su questo che, secondo Nones, “il nuovo ministro della Difesa potrebbe giocare la sua partita più importante per lasciare in eredità al nostro Paese una Difesa più efficace di quella che ha trovato”. Come? “Dovrebbe mettere in campo la sua credibilità e capacità politica con un forte e diretto impegno personale – suggerisce in conclusione il vice presidente dello Iai – se lo farà, potrà però contare sul sostegno di tutti coloro che hanno a cuore la difesa e la sicurezza nazionale di oggi, ma, soprattutto, di domani”.

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