Sul dossier Libia occorre cerchiare in rosso il prossimo 7 gennaio: in quel giorno si materializzerà lo scatto dell’Ue che ha accettato la proposta italiana e il via libera del Parlamento turco all’invio di truppe a sostegno del governo Serraj. Ma da Ankara trapela che il governo di Erdogan potrebbe anticipare il voto al 30 dicembre. Nel mezzo l’avanzata delle milizie di Haftar verso Tripoli e la consapevolezza che la polarizzazione si incrementa.
MISSIONE UE
Mentre a Tripoli l’esercito che fa capo al generale Khalifa Haftar annuncia di aver preso il controllo dell’aeroporto, del campo militare di Al Naqlia e di alcuni depositi di carburante, Bruxelles tramite Roma muove le sue pedine in loco.
La proposta di una missione europea in Libia era stata avanzata nei giorni scorsi dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. L’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Josep Borrell, aveva annunciato la data al ministro degli Esteri di Tripoli, Mohamed Taher Siala. Con loro partiranno alla volta della Libia anche i ministri degli esteri di Germania, Francia e Gran Bretagna nella consapevolezza che “si tratta di un importante passo avanti ma stiamo ancora definendo alcuni dettagli. L’unica soluzione possibile alla crisi libica è politica e non militare”, fanno sapere dalla Farnesina.
QUI TURCHIA
Il governo di Erdogan pare abbia allertato già i combattenti della divisione del Sultano Murat e delle brigate Suquor al-Sham, il cui trasferimento sarebbe già iniziato in vista del voto parlamentare (praticamente scontato) del 7 gennaio prossimo che invece riguarda l’esercito regolare di Ankara. Il vantaggio per i turchi risiede nel fatto che un eventuale (ma a questo punto probabilissimo) invio sul terreno libico dei miliziani, a differenza delle truppe ufficiali, non richiederebbe alcuna autorizzazione formale, per cui non sarebbero sottoposti neanche ad eventuali controlli preliminari.
Dall’inner circle di Erdogan annunciano che l’esercito turco è “pronto a svolgere qualsiasi compito in patria e all’estero”, ma è di tutta evidenza che la concomitanza del voto turco con la visita di Vladimir Putin a Istanbul per inaugurare il gasdotto Turk Stream rappresenti un cappello per l’intera macro area che va dalla Siria alla Libia.
ARMI E MILIZIE
L’annuncio di Erdogan relativo al voto parlamentare non ha però fatto completamente chiarezza sulla tipologia della missione. Stando alle parole del ministro degli esteri turco, truppe e navi potrebbero genericamente essere inviate a Tripoli. Secondo quanto pubblicato dalla stampa libanese la Turchia ha in programma di trasferire 200 militanti siriani in Libia, confermato anche da alcuni media arabi secondo cui un volo charter da Istanbul a Tripoli ha rifiutato di condividere l’elenco dei passeggeri per motivi di sicurezza.
Ma il partito di giustizia e sviluppo (AKP) al potere in Turchia ha annunciato che la mozione che autorizzerà il governo a inviare truppe in Libia potrebbe essere anticipata al 30 dicembre. Un’accelerazione forse dettata dalla mossa dell’Ue e che a questo punto potrebbe innescare una reazione a catena da parte di tutte le parti in causa. Secondo Fahrettin Altun, speaker presidenza turca, la Turchia onorerà il suo accordo con il governo di Tripoli: “Mentre sosteniamo il governo libico, non vogliamo che la Libia sia una zona di guerra. Quelle forze regionali che lavorano per ristabilire regimi repressivi che non rispondono al popolo, sono già attive in Libia”, con riferimento a Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, ovvero quei players che appoggiano Haftar.
QUI LIBIA
Intanto centinaia di manifestanti sono scesi in piazzaa Tripoli e Misurata per protestare contro il generale Khalifa Haftar, che guida forze contrarie al governo di accordo nazionale (GNA). La piazza è stata stimolata da un appello da parte di organizzazioni apartitiche e della società civile per protestare contro gli attacchi e chiedere protezione al governo di Serraj. Con alcuni slogan hanno chiesto a Egitto, Francia e Emirati Arabi Uniti di “prendere la Libia” mostrando poster del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del francese Emmanuel Macron e del principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed Al Nahyan. A Misurata sono apparsi anche striscioni pro turchi con su scritto: “La capitale dei martiri non si inchinerà”, “Sì alla cooperazione Libia-Turchia”, “Grazie popolo turco”.
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