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Il lavoro con i profughi è un luogo teologico. L’invito del papa ai gesuiti

Denuncia o realismo, ecologia, profughi, divorziati risposati. Sono questi i quattro punti importantissimi che papa Francesco ha affrontato con i gesuiti che ha incontrato durante il suo viaggio in Thailandia e di cui, come in occasione di ogni viaggio, dà conto La Civiltà Cattolica nel numero in uscita nei prossimi giorni.

Difficile stabilire un ordine di importanza, sono tutti di estremo rilievo. Cominciamo da quello che il papa ha affrontato per primo. Davanti ai gravi problemi del sud est asiatico un gesuita gli chiede come regolarsi tra “la necessità di denunciare le situazioni e, dall’altra, usare quella necessaria prudenza che a volte suggerisce piuttosto di tacere per il bene maggiore, o per non complicare ulteriormente le situazioni?”. La risposta di Francesco è netta, chiara, si potrebbe dire perentoria: “Non c’è una ricetta. Ci sono princìpi di riferimento, ma poi il percorso da fare è sempre un piccolo sentiero (senderito) che va scoperto nella preghiera e nel discernimento sulle situazioni concrete”. Ancora una volta è il discernimento a indicare la strada, non un’ideologia. I principi di riferimento ci sono, ovviamente, ma poi il papa invita a un’ulteriore attenzione, dopo aver ricordato l’importanza di impegno e coraggio: anche la prudenza è una virtù, ma la prudenza non va confusa con il semplice equilibrio, perché “i prudenti dell’equilibrio finiscono per lavarsene sempre le mani con il loro distacco. E il loro santo patrono è “san” Pilato”.

Si passa così all’ecologia, all’enciclica Laudato si’; come viene recepita? Francesco parte da COP21, dagli impegni positivi del 2015 e poi dai ritiri di alcuni determinati dal “borsellino”. Ma i giovani stanno capendo: “Oggi sono i giovani a capire con il cuore che la sopravvivenza del Pianeta è un tema fondamentale. Loro capiscono bene con il cuore la Laudato si’. Questa è una promessa di futuro. “Il futuro è nostro!”, dicono.

[…] L’enciclica è fatta per essere condivisa ampiamente. Quello che afferma è ormai preso in consegna da tanti. E non c’è diritto d’autore sulla cura della casa comune! È un messaggio che appartiene a tutti. Non c’è diritto d’autore… Questa sembra l’affermazione decisiva: il movimento per “l’ecologia integrale” non può che essere “integrale”.

Molto spesso il tema ecologico porta quello dei profughi, essendo probabilmente queste due le problematiche mondiali più comuni a tutti i contesti. Bergoglio esordisce con parole fortissime, non c’è bisogno di grandi conoscenze teologiche per capirlo: “Per i gesuiti il lavoro con i rifugiati è diventato un vero e proprio ‘luogo teologico’. Lo considero così, un luogo teologico”. Il lavoro con i rifugiati per chi sceglie la Compagnia di Gesù è un luogo teologico… Ricordate le grandi cause di fondo dell’enormità del fenomeno a livello planetario, Francesco ha toccato il punto per lui decisivo, la conseguenza di quella filosofia della difesa che fa credere che solo con paura e frontiere ci si può difendere: “I rifugiati sono materiale di scarto. Il Mediterraneo è stato trasformato in un cimitero. L’impressionante crudeltà di alcuni centri di detenzione in Libia mi tocca il cuore. Qui in Asia tutti conosciamo il problema dei rohingya. Devo riconoscere che alcune narrative che ascolto in Europa sulle frontiere mi scandalizzano”. Francesco non vuole fermarsi, non può farlo, perché rohingya e Mediterraneo non sono tutto. “Da altre parti ci sono muri che separano persino i bambini dai genitori. Mi viene in mente Erode. E per la droga invece non ci sono muri che tengano.”

Impossibile che chiudesse questa risposta a un gesuita che lavora a Bangkok senza riferirsi a quanto lì disse il fondatore del Jesuit Refugee Service, padre Pedro Arrupe: “Il discorso che qui a Bangkok aveva rivolto ai gesuiti che stavano lavorando con i rifugiati è stato quello di non trascurare la preghiera. Dobbiamo ricordarlo bene: la preghiera. Come dire: in quella periferia fisica non dimenticatevi di quest’altra, quella spirituale. Solo nella preghiera troveremo la forza e l’ispirazione per entrare bene e con frutto in quelli che sono i ‘pasticci’ dell’ingiustizia sociale”.

Si arriva così all’ultima domanda, quella sui divorziati risposati. Come comportarsi. Il modo casistico, cioè un approccio alla riflessione giuridica, non è il preferito dal papa, che infatti esordisce così: “Potrei risponderti in due modi: in modo casistico, che però non è cristiano, anche se può essere ecclesiastico; oppure, secondo il Magistero della Chiesa, come è scritto nell’ottavo capitolo dell’Amoris laetitia, cioè fare un cammino di accompagnamento e di discernimento per trovare le soluzioni. E questo non ha nulla a che fare con la morale della situazione, ma con la grande tradizione morale della Chiesa”. In poche parole in Thailandia Francesco ha offerto una risposta ai grandi interrogativi dell’oggi, dal punto di vista sociale ed ecclesiale.

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