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Caos Libia. Il rischio escalation, lo sforzo per la pace e la lettura di Salvini

Oggi è andata in scena la Libia al forum MED19, l’incontro internazionale organizzato da Ispi e Farnesina – l’appuntamento “più importante per l’Italia e per l’Europa” per discutere di Mediterraneo, come l’ha definito il ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, il quale ha spiegato che la “Libia racchiude in sé tutte le contraddizioni” del Mare Nostrum che l’Italia intende affrontare con gli alleati regionali – per esempio la Tunisia.

Nel Paese è in corso una crisi anche umanitaria prodotta dall’attacco a Tripoli lanciato dal signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, che ha fatto piombare il Paese nella sue terza guerra civile in meno di un decennio. Scontri che da otto mesi non vedono sbocchi, statici, nati anche come guerra per procura e che stanno dimostrando di esserlo in modo sempre più profondo.

Diversi Paesi si combattono sostenendo i due lati dello schieramento, usando il terreno libico come campo di battaglia in cui sfogare diatribe di altro genere e dimensione. Con Haftar c’è un blocco guidato dagli emiratini e dagli egiziani, che recentemente ha trovato un appoggio indipendente della Russia – una preoccupazione che ha portato gli Stati Uniti ad alzare l’allerta e a chiedere all’uomo forte dell’est libico di fermare i combattimenti. Con Tripoli, dove ha sede il governo internazionalmente riconosciuto insediato dalle Nazioni Unite, ci sono il Qatar e la Turchia. Una competizione intrasunnismo che vede violare con costanza l’embargo Onu sulle armi.

Scontri che, come l’ha definiti l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé (anche lui a Roma per il MED19), sono diventati una “guerra di droni”. Intensissimo infatti l’uso di velivoli senza pilota su entrambi gli schieramenti: 800 gli attacchi della milizia haftariana, che sfrutta la copertura aerea fornita dagli emiratini; 270 da parte delle forze che difendono Tripoli, che sono coperte dai turchi. Su tutto dozzine di vittime civili, un attacco con cui un drone degli Emirati ha colpito un campo di detenzione per migranti quest’estate, e due recenti incidenti delicatissimi: il 20 novembre è stato abbattuto un Reaper italiano, il giorno dopo un altro drone americano. Entrambi impegnati in attività di intelligence, non armati, sono precipitati per opera della difesa aerea di Haftar. Per gli Usa si è trattato di un’interferenza – forse involontaria – prodotta da sistemi che i russi hanno portato in dote all’autoproclamato Feldmaresciallo.

“Non ci sono eroi” in questa guerra: “C’è un fronte di decine e decine di chilometri, ma non ci sono migliaia di combattenti sul fronte. È un luogo di mercenari che vengono da altri paesi e si danno battaglia”, ha detto Salamé. Tra questi molti dall’Africa centrale, pagati dagli Emirati, e alcuni contractor russi disposti clandestinamente pro-Haftar. La guerra “deve essere fermata e mi spiace dire che le profonde divisioni del sistema internazionale hanno impedito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di chiedere il cessate il fuoco”, ha chiosato il delegato Onu.

Quindici le riunioni fin dall’inizio dell’offensiva, zero però le posizioni di accordo compatte prese dall’Onu per fermare i combattimenti. La prossima occasione fondamentale sarà a Berlino, quando una conferenza di pace – la cui data slitta costantemente per le difficoltà organizzative – cercherà di trovare una quadra verso la stabilizzazione e il ritorno a negoziati politici. C’è un ottimismo in parte di facciata, ma per gli addetti ai lavori ad oggi è difficile che si tornerà dalla capitale tedesca con una qualche soluzione.

Il punto è che nessuno intende mollare, e da una parte Haftar se si fermasse ammetterebbe implicitamente il fallimento della campagna per la presa di Tripoli, mentre dall’altra chi fornisce protezione politica e militare al governo onusiano – le forze da Misurata – non intendono cedere a compromessi col nemico giurato della Cirenaica. Oggi, sempre a Roma, c’era anche il ministro degli Esteri libico, Mohamed Taha Siala, che ha detto che il dialogo con Haftar “non è impossibile”, gettando un fascio di ottimismo rapidamente contratto quando ha spiegato che la presenza russa sta portando a un’escalation in cui le forze di Tripoli potrebbero anche capitolare.

Dall’esterno della bolla dialogante del MED19, la voce di Matteo Salvini, che sul dossier ai tempi in cui era al governo ha avuta una posizione assertiva a favore delle istituzioni a Tripoli. “Abbiamo regalato la Libia a Turchia e Francia, ci sarà un problema di sicurezza”. È una lettura chiaramente critica nei confronti dell’attuale governo. Secondo il leader dell’opposizione è colpevole di aver portato l’Italia a retrocedere lasciando spazi di influenza ad altri paesi. La Turchia sul lato tripolino (nei giorni scorsi è stata chiuso da Ankara un accordo col governo libico sulle aree marittime Zee che è problematico per Roma). E poi la Francia. Parigi è un capitolo a parte: formalmente i francesi appoggiano il governo Onu, ma in passato hanno anche spalleggiato alcune operazioni militari di Haftar. Solo recentemente l’esecutivo libico ha riaperto il dialogo con i funzionari dell’Eliseo, dopo aver interrotto le relazioni accusando la Francia di ambiguità.

(Foto: Twitter, @ispionline)

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