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Casus belli in Libia. Per gli Usa sono stati i russi ad abbattere il drone Africom a Tripoli

La Reuters ha informazioni esclusive importanti che potrebbero modificare il corso della situazione in Libia e confermano considerazioni già esposte: il velivolo senza pilota che Africom ha perso il 21 novembre sopra Tripoli è stato abbattuto da un sistema di interferenza russo. A dirlo all’agenzia stavolta non è una della varie fonti anonime che passano notizie alla stampa, ma direttamente il capo del comando Africa del Pentagono, il generale Stephen Townsend.

L’ufficiale spiega che i russi forse non sapevano che il drone Africom era americano al momento in cui l’hanno abbattuto, “ma certamente adesso sanno a chi appartiene e si stanno rifiutando di restituirlo. Dicono di non sapere dove si trova, ma non me la sto bevendo”, ha detto Townsend in una nota passata all’agenzia senza elaborare altre spiegazioni.

Dunque gli americani dicono che il velivolo è stato abbattuto dai russi, probabilmente dai contractor che Mosca ha inviato a puntellare l’offensiva con cui da otto mesi il generale ribelle Khalifa Haftar, signore della guerra della Cirenaica, sta cercando di rovesciare il governo internazionalmente riconosciuto che l’Onu quattro anni fa ha insediato a Tripoli. Già nei giorni scorsi, il portavoce del Pentagono aveva detto che i russi e le forze haftariane in quella zona della capitale libica erano “attivi” con le difese aeree.

Per gli Usa, però, chi ha azionato il jammer – termine tecnico generico con cui si indicano i vari sistemi in grado di interferire con le frequenze, anche quello di volo dei droni – forse pensava che si trattasse di un velivolo nemico. In questo caso “nemico” significa turco, dato che Ankara ha predisposto le capacità aree da Misurata, città-stato della Tripolitania che fa da principale difensore politico e militare del governo di Tripoli, o meglio anti-Haftar (da notare che sull’altro lato, Haftar è aiutato dagli Emirati Arabi in modo identico, nonostante sulla Liba viga un embargo Onu per gli armamenti). Le forze di Haftar avevano, seppure indirettamente, chiesto scusa dell’accaduto a Washington.

Le dichiarazioni dei militari americani sono molto controllate, perché l’abbattimento del drone Africom è un incidente delicatissimo. Però mettono di nuovo i riflettori su quello che dagli Stati Uniti in questo momento è considerato un problema enorme, al punto che la Libia è tornata in cima agli interessi a Washington: la presenza russa.

Da molto tempo si sa che alcuni team di contractor russi – di una società vicina al Cremlino, che il governo russo usa per il lavoro sporco – si trovano al fianco di Haftar. Recentemente però questo numero sarebbe cresciuto fino a mille unità. Soldati addestrati, con apparecchiature e armamenti di primo livello, molti ex forze speciali che potenzialmente fanno la differenza in un quadro in cui la guerra civile è diventa di posizione, stanca e distratta, senza avanzamenti in nessuno dei fronti.

Che la preoccupazione americana nei riguardi della Russia in Libia sia aumentata lo dimostrano alcuni movimenti. Per esempio: un team composito di funzionari operativi del dipartimento di Stato, del Consiglio di Sicurezza e del Pentagono, due settimane fa è volato a Bengasi per chiedere all’uomo forte della Cirenaica di fermare le armi e smarcarsi dall’influenza russa. Ancora prima, a metà novembre, i congressisti hanno chiesto sanzioni contro Mosca per il sostegno ad Haftar. E prima ancora Foggy Bottom aveva fatto uscire uno statement chiedendo l’immediato cessate il fuoco e il ritiro delle forze proxy inviate dalla Russia. Il Cremlino chiaramente smentisce ogni genere di coinvolgimento.

Da notare che l’argomento interessa fortemente anche l’Italia, che sul dossier libico ha a Tripoli e Misurata i principali interlocutori, ma non ha preso posizioni forti nemmeno davanti ai bombardamenti di Haftar sull’aeroporto misuratino dove si trova un contingente militare a supporto di un ospedale da campo. Di più: il 20 novembre la sorte del drone americano era già toccata a un Reaper italiano, anche quello abbattuto dalle forze haftariane (è possibile che sia stato usato un sistema simile a quello che ha tirato giù l’altro Usa? I sospetti ci sono). E in quell’occasione le milizie di Haftar hanno tutt’altro che chiesto scusa: anzi, hanno ballato sui rottami del drone Africom usandoli come elemento per la propaganda contro Roma.

Ieri il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, ha avuto un incontro diretto con il suo omologo russo, l’espertissimo Sergei Lavrov, in cui i due hanno anche parlato di Libia. Di Maio ha parlato di rischi di escalation e di evitare soluzioni militari. L’altro gli ha dato ragione, ma intanto per gli americani i contractor russi sono già responsabili dell’abbattimento di almeno un drone occidentale – che lavora a supporto della lotta la terrorismo, dal lato del governo tripolino assediato dal cavallo su cui la Russia sembra aver deciso di scommettere. Almeno per quanto riguarda le dinamiche sul campo: diplomaticamente – in una dicotomia che divide Esteri da Difesa, tutt’altro che non è nuova in diversi paesi strutturati – Mosca cerca di evitare al minino il coinvolgimento.

Parlando con Francesco Maselli del Foglio, di Maio ha detto: “Dobbiamo ancora verificare le informazioni che danno i libici o gli americani, noi chiediamo soltanto che nessuno interferisca. Io e Lavrov non abbiamo parlato di questo, abbiamo parlato in generale del fatto che la Russia è uno stato importante per arrivare al cessate il fuoco”.

 

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