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Mes, un’altra occasione mancata?

La riforma del Meccanismo europeo di stabilità, dopo qualche anno, sembra giunta finalmente in dirittura d’arrivo. In Italia ne parliamo come fosse una novità. Meglio che se ne discuta ovviamente, solo che quella italiana è una discussione polemica, strumentale e fuorviante, basata su delle falsità per quanto riguarda i contenuti e tacendo completamente sul metodo di approvazione della riforma. Un dibattito al di fuori della realtà, che farà solo del male agli interessi dell’Italia e degli italiani. Sembra di rivivere quanto già successo ai tempi di Maastricht, poi durante l’entrata in vigore dell’Euro, lo stesso coi provvedimenti sulla crisi economica, con il bail in e adesso con il Mes, su cui si continua a fare mistificazione ed a dividersi per schieramento, non sui contenuti nell’ interesse del Paese.

Così assistiamo al ritorno dello schema di discussione tipico italiano, “post 89”: gli “Europeisti”, per timore di apparire anti europei, non osano esprimere critiche all’Unione, in questo caso al Mes, come fosse perfetto, mentre sovranisti e compagni, 5 Stelle compresi, criticano ferocemente ciò che hanno già approvato pochi mesi fa, facendo finta di nulla. Intanto vediamo brevemente il merito. I testo della riforma mantiene molti punti critici che porteranno forse ad isolare il contagio ma non a guarire il male dell’Eurozona, specialmente se pensiamo agli squilibri economici e all’eccesso di debito di molti Paesi. Contiene, inoltre, la lesione di alcuni principi fondamentali dell’Unione che riguardano tutti i paesi, non solo l’Italia, come il dibattito di questi giorni rischia di far credere.

Mi riferisco in particolare al fatto che il Mes, con la nuova proposta tedesca sull’Unione bancaria, possa dichiarare a rischio i titoli pubblici di un Paese, fuori da qualunque controllo democratico. A queste condizioni l’Italia non avrebbe alcun interesse a ricorrere al Mes. Le altre criticità riguardano sia i contenuti che il metodo di approvazione, in gran parte già presenti nella prima stesura del testo, come in quella del dicembre 2018 e giugno 2019. Infatti per quanto riguarda i contenuti la proposta, utile in linea di principio, non rappresenta un’opportunità per i paesi a rischio di crisi, in quanto il Mes, a cui spetta l’ultima parola, ha il mandato di “prestare”, al posto della Bce, altra cosa grave, solo a chi rispetta tutti i parametri del patto di stabilità ed ha il debito “ritenuto” sostenibile, secondo “il punto di vista del creditore”.

Ma in questo caso perché un Paese dovrebbe richiedere un prestito al Mes? In caso contrario, invece, tali clausole potrebbero indurre i potenziali acquirenti, banche comprese, a rinunciare a comprare titoli pubblici che potrebbero poi essere dichiarati insolvibili, con un risultato facilmente immaginabile, per cui ad un paese in difficoltà conviene agire da solo, se necessario, a prescindere dal Mes. Ed è vero che, con la riforma, scompare l’obbligo di ristrutturare il debito “prima” degli aiuti, ma resta in pieno la sostanza di tale condizionalità, perché non si tiene conto del rischio temuto, fonte di speculazione finanziaria, col risultato che i paesi in difficoltà possono perdere l’accesso al mercato.

Così un problema di liquidità provvisorio si può trasformare in insolvenza, precludendo l’accesso ai “prestiti precauzionali”, quelli capaci di evitare la crisi. In conclusione il Mes agisce come una banca, al di fuori di ogni logica di solidarietà e del comune interesse dell’Unione, conservando la visione ragionieristica dell’Eurozona. Inoltre, sotto l’aspetto procedurale, anche questo Mes verrà approvato con un nuovo Trattato, quindi fuori da ogni controllo del Pe, come si trattasse di paesi estranei ed inaffidabili anche se condividono la stessa moneta. Ed è come se il Mes conservasse e agisse in una logica antieuropea, in contrasto con il processo di integrazione dell’Eurozona, che richiederebbe invece un approccio comune sulle questioni politiche, economiche e sociali, oltre che sulle riforme avviate durante la crisi, che riguardano, oltre al Mes, il mercato unico dei capitali, la garanzia europea sui depositi e l’Unione bancaria.

Poteva essere questa l’occasione per farlo, iniziando subito dopo il 2012, riportando l’attenzione sulla revisione del Patto di Stabilità, sulla procedura di infrazione inerente i surplus commerciali e sui costi sociali della disoccupazione. Perciò l’Italia, invece di fare dibattiti strumentali e a scoppio ritardato, come se i problemi evocati dal Mes, compresa la questione del debito, fossero nati oggi, dovrebbe approfittare dell’occasione per rilanciare un negoziato complessivo sulla “questione Eurozona” e sul problema del debito, che le permetta di superare la logica del “prendere o lasciare” e la faccia uscire dall’isolamento in cui si è cacciata da tempo, per superare le politiche di austerità che tengono noi e l’Eurozona in una morsa, quando invece sarebbe necessario attivare politiche economiche espansive, come ha più volte sostenuto anche l’ex-presidente della Bce. Altrimenti la politica italiana ed europea è relegata a discutere ogni anno solo di quadratura dei bilanci, in una logica condominiale, mentre Pil ed occupazione continuano a scendere.

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