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Sanità, le sfide che l’Italia può (e deve) vincere

Il settore farmaceutico rappresenta da sempre un comparto singolare. Data la sua complessità, e l’eterogeneità degli interessi che ospita nel suo alveo, è sempre difficoltoso parlare di successi e insuccessi. Senza dubbio, però, innovazione e crescita del settore possono essere considerati traguardi comuni, data l’implicazione positiva sulla salute dei cittadini, sull’efficacia delle cure e, non da ultimo, sui costi in una prospettiva di lungo termine.

ITALIA PRIMO PRODUTTORE EUROPEO

In tal senso, l’Italia rappresenta un esempio virtuoso non solo a livello europeo, ma anche internazionale. Dopo aver superato anche la Germania nel 2017, è finalmente il primo produttore in Europa, con una produzione di 31,2 miliardi di euro (contro i 30 miliardi dei tedeschi). Un successo legato, fra le altre cose, anche al boom dell’export, che oggi sfiora i 25 miliardi ed è raddoppiato negli ultimi 10 anni.

RICERCA E SVILUPPO +22% IN 5 ANNI

Il settore presenta inoltre il valore più alto per investimenti in ricerca e sviluppo per valore aggiunto (circa il 16% del valore aggiunto, 10 volte la media). Nel 2017, infatti, sono stati investiti nel comparto circa 1,5 miliardi di euro. Cifre, queste, che pongono l’industria farmaceutica al terzo posto in Italia tra i settori manifatturieri per investimenti in R&S, cresciuti del 22% negli ultimi 5 anni, più della media degli altri Paesi europei (16%).

BENE L’OCCUPAZIONE…

Notevoli anche le ricadute sul mercato del lavoro. Già nel 2014, infatti, quando molti settori registravano ancora una contrazione dell’occupazione, quello farmaceutico invece manifestava un’inversione di tendenza, raggiungendo gli oltre 65mila addetti. Tra l’altro, negli ultimi due anni gli occupati del comparto sono cresciuti più che in tutti gli altri settori (+4,5% rispetto a +1,3% della media manifatturiera). Bene anche l’occupazione giovanile, cresciuta del 10% tra il 2014 e il 2016 rispetto alla media del 3% del manifatturiero.

… E LA SALUTE

Per ottenere un quadro completo, però, al di là degli effetti economici, è necessario analizzare i risultati anche da un punto di vista più specificatamente sanitario. Com’è noto, infatti, negli ultimi cinquant’anni l’evoluzione e la ricerca hanno consentito di intervenire su malattie precedentemente considerate letali, migliorato l’aspettativa di vita alla nascita e ridotto i tassi di morbilità e di mortalità. Le biotecnologie, i farmaci biologici, la genomica, la proteomica, la farmacogenomica, sono tutte aree che hanno consentito un ampio sviluppo, con ricadute positive sia sulla salute che, nel lungo termine, sulla sostenibilità.

LE SFIDE DEL SETTORE

Il settore, insomma, gode di ottima salute, ma come tutti presenta diverse sfide e aree critiche su cui è necessario intervenire, con più o meno urgenza, favorendo in particolar modo attività di collaborazione fra le parti coinvolte: imprese, che hanno per loro natura come primo obiettivo il profitto; pazienti e medici, che aspirano invece all’accesso a prodotti e servizi che rispondano alle loro esigenze terapeutiche; soggetti pubblici, che infine puntano alla massimizzazione dell’impatto dei medicinali sullo stato di salute, garantendo la sostenibilità del sistema sanitario. “Il comparto si configura come un settore in cui innovazione, globalizzazione, competizione e regolamentazione hanno creato un complesso sistema di vincoli e incentivi, non sempre coerenti tra di loro e spesso apertamente contrastanti, che ne limitano il potenziale di sviluppo che potrebbe avere, limitando così il suo contributo alla crescita del Paese”, ha riferito a Formiche Vincenzo Atella, professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Tor Vergata.

I TETTI DI SPESA

Tra le prime questioni da affrontare, senz’altro il sistema dei tetti di spesa, di cui ormai quasi tutti chiedono la revisione. In termini prospettici, ha spiegato Fabio Pammolli, professore di Economia e management presso il dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano ed esperto di analisi economica dei sistemi d’innovazione e ricerca e dei sistemi di welfare, sanitario, pensionistico, “sarebbe opportuno abbandonare i tetti di spesa e trasformarli in target di crescita della spesa farmaceutica a 3 o a 5 anni, rinegoziati annualmente tra le principali rappresentanze dell’industria (Assobiotec, Assogenerici, Farmindustria) e il ministero della Salute e/o dell’Economia sulla base di una valutazione tecnica da parte di Aifa dell’effetto atteso delle pipeline di prodotti, della scadenza dei brevetti e della modifica del mix di trattamento nelle terapie già disponibili sul mercato. Sarebbe opportuno valutare, inoltre – ha concluso – l’opportunità di avere dei gondi aggiuntivi per i farmaci innovativi che, di fatto, configurano dei silos nel silos della farmaceutica”.

SPERIMENTAZIONE PROFIT

Altra area di interesse è quella della sperimentazione profit. Sarebbe utile, infatti, come ha tenuto a sottolineare il direttore di Altems, Americo Cicchetti “rendere più stabile il sistema-Paese e attivare tutte le iniziative affinché sia reso più agevole l’avvio di studi clinici, talvolta ostacolati dall’eccessiva burocratizzazione che investe l’Italia, e non solo nel farmaceutico”.

SISTEMA DEI SILOS

Per quanto concerne invece il sistema di P&R, altra questione particolarmente dibattuta, potrebbe rivelarsi auspicabile il rafforzamento del principio di value-based-pricing, semplificando così il sistema negoziale, integrando le diverse parti del processo e superando così l’approccio aspramente criticato dei silos. “In particolare la sostanziale assenza di linee-guida esplicite sugli aspetti più complessi (definizione del comparatore, rilevanza degli endpoint ecc.) – ha riferito Federico Spandonaro, Professore di Economia sanitaria presso Tor Vergata e presidente di C.R.E.A. Sanità a Formiche – ha aumentato il rischio di una certa discrezionalità nelle modalità di sottomissione e analisi dei dossier. Inoltre, andrebbe attivato (analogamente all’Inghilterra) un network di centri di riferimento, cui Aifa potrebbe affidare una contro-valutazione dei dossier forniti dalle imprese, secondo logiche di priorità formalmente definite”.

MANAGED ENTRY AGREEMENT E PAYBACK

Altro capitolo è quello dei sistemi di Managed Entry Agreement (Mea) basati sull’esito, introdotti in Italia prima di altri Paesi nella forma dei performance-linked agreement, ovvero di applicazione di payback o rimborso alla valutazione della risposta del paziente, di cui abbiamo parlato con Claudio Jommi, presidente dell’Associazione italiana di economia sanitaria e professore di Economia aziendale presso l’Università del Piemonte orientale. “Registri ed eventuali MEA associati – ha illustrato Jommi – hanno contribuito da una parte a rendere più appropriato l’uso dei farmaci e dall’altra a gestire in modo flessibile l’incertezza sugli esiti, nonché a consentire l’effettivo accesso del farmaco e l’applicazione di principi di value-based pricing associati alle singole indicazioni. Ci sono però alcuni punti di attenzione, direttamente o indirettamente suggeriti dalla comunità scientifica, che dovrebbero essere considerati, come ad esempio una gestione ottimale del mix dei possibili accordi (basati sull’esito e finanziari), per evitare che gli accordi vengano percepiti più come un ostacolo che un’opportunità”. Si potrebbe anche ipotizzare, ha poi proposto il professore “una valutazione a due/tre anni degli effetti e l’eventuale successiva eliminazione di tali accordi, con rinegoziazione delle condizioni di accesso se le evidenze di real-life sono sufficientemente robuste e complete per farlo”. Sarebbe poi importante – ha concluso Jommi – rendere pubblici non sono gli effetti finanziari aggregati di tali accordi, come già avviene, ma anche le informazioni di esito che possono essere desunte dai registri”.

PIÙ COLLABORAZIONE FRA PUBBLICO E PRIVATO

Infine, questione particolarmente delicata è quella che vede come protagonista il rapporto fra Stato e Regioni e la competenza che i due soggetti, entrambi istituzionali, hanno sui singoli processi decisionali. Le dinamiche sono complesse, ma è indubbio che la direzione verso cui muoversi deve mirare a una reale identificazione del ruolo dello Stato Centrale e delle Regioni, una riduzione sensibile dei costi amministrativi di gestione delle politiche regionali e una riduzione dei costi legati alla gestione di ricorsi. La necessità di definire in modo più specifico le competenze di Stato e Regioni nella gestione dell’assistenza farmaceutica, del resto, appare ancora più rilevante se si considera che le regioni, pur presentando ancora importanti differenze, stanno convergendo verso un mix omogeneo delle azioni di governo, mentre nel passato le differenze interregionali erano più rilevanti.

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