Per chi ha conosciuto la Piazza San Giovanni delle manifestazioni di un’epoca ormai passata, quella di ieri era una piazza molto diversa. All’inizio il silenzio e l’assenza di bandiere, striscioni, punti di raduno e cori rendevano chiaro che c’era un protagonista inatteso: la piazza stessa, profondamente cittadina, e la basilica, la cattedrale di Roma. Magari i manifestanti non la guardavano neanche, ma quella basilica dedicata al Santissimo Salvatore e ai Santi Giovanni Battista ed Evangelista sembrava stare lì per lavare i molti anziani dai loro peccati: cosa hanno lasciato ai giovani promotori della riunione silenziosa? Qual è la loro eredità? I signori e le signore di mezza età, magari con giovane accompagnatore di famiglia accanto, non avevano un ruolo da rivendicare, ma i loro fallimenti. Tutto sommato i valori indicati dalla piazza sono quelli dei nonni dei promotori: l’antifascismo che univa la piazza era l’antifascismo dei loro nonni, non dei loro genitori, non dei sessantenni, ma degli ottantenni. È a loro, ai nonni, che le vere sardine si richiamano. Una piazza convocata da giovani ma affollata anche da genitori, comunque da cinquantenni o sessantenni che non avevano altro ruolo da invocare che quello di chiedere scusa. Scusarsi di non essere riusciti a conservarsi fedeli a quei valori che ora i loro figli sono venuti a richiamare. Una piazza animata da figli di genitori falliti. Falliti se non nelle speranze di sicuro nella fiducia a gruppi dirigenti che tanto nel mondo liberal-democratico quanto in quello social-democratico che in quello che si ritiene “di sinistra intransigente”, tutti presenti, hanno ceduto all’odio, alla paura, ai disvalori della segregazione, della divisione, del liberismo selvaggio, nella convinzione che solo piegandosi a quei disvalori si sarebbe potuto “vincere”. E hanno perso. Hanno consegnato ai loro figli uno spazio pubblico, televisivo, sociale ed ora etereo, dominato dall’arroganza, dalla protervia, dall’odio, dall’istigazione ad avere paura. La parola-slogan era infatti “libertà”: ma non “libertà di…” che tanto ha appassionato i diversi liberisti, bensì “libertà da…”: libertà dalla paura, libertà dall’odio, libertà dal razzismo, libertà dall’emarginazione, libertà dall’egoismo, libertà dalla solitudine, libertà dal disprezzo, libertà dal fascismo, che è soprattutto il fascismo del “me ne frego”.
In modo sempre più evidente la piazza ha acquisito un significato così rilevante da essere sorprendente che non sia stato notato che lo ha esemplificato il fatto che è stata data la parola a un politico, eletto con un mare di voti: Pietro Bartolo. Il motivo per cui è stato scelto proprio lui è lo stesso motivo per cui è stato eletto con tutti quei voti: lui è il medico di Lampedusa, tutti lo conoscono come il volto dell’Italia solidale, l’Italia che accoglie, l’Italia che non discrimina i profughi, che poi sono naufraghi, perché non vuole discriminare nessun altro: i poveri, i disoccupati, i rom, i senzatetto, i portatori di handicap, gli anziani soli, i depressi, i malati.
Così proprio l’avergli dato la parola ha indicato che ciò che cercano, ciò che vogliono, ciò di cui hanno bisogno le sardine sono i testimoni. I testimoni di quei valori fondati sulla libertà, “libertà da…”, di cui hanno parlato, sull’antifascismo, quello del “me ne frego”, di cui hanno parlato. A questo punto è diventato evidente che il testimone per eccellenza, il vero nonno, il testimone nella vita e per la vita dei valori che la piazza ha detto di aver scelto è Jorge Mario Bergoglio. Sì, ieri è diventato evidente che quello delle sardine è, consapevolmente o inconsapevolmente, il movimento Bergoglio. Non un movimento cattolico: certo non scarseggiavano i cattolici, ma anche i non cattolici non erano poco: la piazza delle sardine è molto diversa dalla piazza del Family Day. Non è una piazza contro qualcuno, è una piazza per. Non ha paura delle unioni irregolari, non ha paura dei gay, non ha paura dei divorziati. È una piazza che sa capire scelte e insuccessi, difficoltà e diversità, mentre nell’episcopato italiano molti sono più vicini alla cultura dell’esclusione, della differenza, della paura, del “prima gli…”
Infatti le aperture di credito alle sardine sono venute dal Vaticano, non dalla Conferenza Episcopale Italiana. Lì, alla Cei, pensano ancora a progetti culturali, a un partito cattolico fondato sull’interlocuzione con i palazzi. No, a Piazza San Giovanni si è visto il movimento Bergoglio perché riflette la leadership morale globale dell’unico leader che parla di “uscire”, di “ospedale da campo”, un uomo che chiede da Lampedusa “dov’è tuo fratello?”, un uomo che non impone ma interroga, un uomo che non giudica ma ascolta, un uomo che chiede di essere vicini ai vulnerabili perché tutti siamo vulnerabili e solo prendendoci cura della vulnerabilità altrui possiamo aiutarci a fare i conti con la nostra.
Questa leadership morale globale, che travalica le appartenenze identitariste e unisce nel nome della fratellanza, fonda una nuova unità che i manifestanti possono anche non conoscere ma sentono; l’unità degli uguali perché diversi. Non c’è tra lui e loro “dipendenza”, bensì corrispondenza. L’unità di cui parlano in modi diversi si raggiunge solo creando una nuova dialettica; che è quello che ha chiesto la piazza. Fondare una nuova dialettica non vuol dire fondare un partito. Vuol dire riconoscere che questa dialettica include, non esclude. La dialettica includente è la dialettica di Papa Francesco, che riconosce le diversità senza escludere, anzi fondando sulla diversità il suo paradigma. Così la nuova politica italiana che le sardine invocano non esclude destra e sinistra, come fanno certi teorici del “vaffa” per i quali destra e sinistra non esistono più, le include in un progetto dialettico che si fonda sulla condivisione dei valori dell’antifascismo, del rifiuto dell’odio, della discriminazione. Rifiuto del fascismo, dell’odio e della discriminazione possono fondare un nuovo confronto tra destra e sinistra. Ad esempio: solo la rincorsa delle parole d’ordine escludenti, dell’ideologia della paura, poteva far teorizzare al Pd che la “sicurezza è una parola di sinistra”. Non lo è, come non è una parola di destra. È semplicemente una parola sbagliata: la parola giusta, che accomuna in diverse declinazioni destra e sinistra, è “legalità”. È la legalità che univa la destra di Borsellino e la sinistra di Falcone. La sicurezza invece crea un’ideologia di pericolo e quindi di soggetti “potenzialmente” pericolosi. La nuova dialettica politica del movimento delle sardine non rifiuterà certo la sicurezza in quanto tale, ma l’inciviltà della detenzione preventiva protratta per anni, una inciviltà che non è né di destra né sinistra, è solo inciviltà giuridica.
La dialettica includente crea un comune sentire nel quale le diversità si riconoscono e così si arricchiscono vicendevolmente. Il suo paradigma è: “Il tutto è superiore alla parte”. Dunque quello delle sardine come si è visto a Piazza San Giovanni è un movimento che chiede di fondare una nuova dialettica politica, che sia includente e non escludente. Il testimone che consapevolmente o inconsapevolmente ha unito la destra e la sinistra di cattolici e di non cattolici è evidentemente Jorge Mario Bergoglio, l’autorità morale globale che rifiuta le esclusioni creando la fratellanza umana dei diversi, una fratellanza non ideologica, ma figlia del bene comune e quindi della realtà concreta.