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Summit Nato, cosa unisce (e cosa no) Trump e Conte

Non sarà semplice galateo l’incontro che il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte avrà con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump al summit Nato di Londra. Le premesse non sono tutte rose e fiori. Parola di premier: “I dossier preoccupanti sono molti”. Preoccupa l’export negli Usa, minacciato dalla gragnuola di dazi che Trump promette di abbattere sulle economie europee. Ma anche la reprimenda che il presidente Usa potrebbe riservare a “Giuseppi” sui rapporti stretti, troppo stretti, che il suo governo (e soprattutto il Movimento Cinque Stelle) tesse, ricama, ostenta con la Cina di Xi Jinping.

DIFESA, L’ITALIA SPENDE TROPPO POCO

Andiamo per ordine. La premessa del faccia a faccia sarà la stessa che di anno in anno precede i vertici Nato dell’era Trump. L’Italia spende troppo poco in Difesa. L’1,22% del Pil, ha ricordato un report del segretario generale Jens Stoltenberg, cioè molto meno del 2% secondo accordi. Questo, di per sé, non è un gran biglietto da visita. Del problema si è mostrato consapevole il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha manifestato l’intenzione, se non di raggiungere la soglia prestabilita, obiettivo non “realisticamente realizzabile entro il 2024”, quantomeno di invertire il trend. Basterà? Il segnale è incoraggiante, anche se con Trump non è mai detta l’ultima parola.

DAZI IN ARRIVO

I conti si faranno, si diceva, anche sul commercio. Un recente rapporto del Rappresentante del Commercio Usa Robert Lighitzer si schiera contro la web tax che la Francia, e ora, con la nuova legge di bilancio, anche l’Italia, vogliono confezionare. È questo uno scoglio non da poco per chiedere a Washington un’esenzione dai dazi sull’export europeo. “Ne parleremo domani”, ha garantito Conte ai giornalisti. La partita non è banale. Secondo la Coldiretti, la vendetta di Trump per la digital tax può far ballare mezzo miliardo di euro di export alimentare made in Italy. Tanto basterebbe per far dire addio ai banchi dei supermercati americani ad eccellenze italiane come Parmigiano reggiano, Grana Padano e via dicendo.

OMBRE CINESI

La politica estera avrà uno spazio a sé. In cima all’agenda c’è la Cina. Non è un mistero a Washington che a Roma ultimamente i palazzi della politica parlino un ottimo mandarino. Soprattutto con questo governo, che ha adottato la linea gialloverde e, sostengono le feluche americane, forse ha alzato troppo l’asticella. Due i risvolti. Da una parte i diritti umani e le violenze sui manifestanti a Hong Kong, condannate negli Usa con una legge, il “Democracy Act”, adottata all’unanimità dal Congresso e firmata da Trump in persona, che introduce dure sanzioni contro il governo cinese. Ben più blanda la reazione italiana, che non si è spinta oltre una serie di risoluzioni, peraltro non di matrice governativa.

MOVIMENTO 5G

Il secondo riguarda invece gli investimenti cinesi in Europa, soprattutto nel 5G. Washington chiede a Roma di tenere la barra dritta sulla partecipazione di aziende cinesi come Huawei e Zte alla banda larga. Il decreto cyber del governo è stato salutato con favore oltreoceano, ma potrebbe non essere abbastanza per il Dipartimento di Stato, che oggi va chiedendo agli alleati una netta esclusione degli operatori del Dragone.

C’È ANCHE LA LIBIA

Dulcis in fundo, si fa per dire, la Libia. Che l’amministrazione Trump non abbia alcuna intenzione di farsi carico della crisi nel Paese nordafricano è ormai un segreto di Pulcinella. Niente cabine di regia Italia-Usa, per il momento. Questo non toglie che il Dipartimento di Stato riconosca all’Italia, almeno in principio, un ruolo naturale nel Mediterraneo e nella protezione del fianco Sud della Nato. Non saranno passate inosservate negli States le continue provocazioni del generale Khalifa Haftar nei confronti del governo italiano. L’ultima, la più clamorosa, l’abbattimento di un drone, con tanto di selfie dei miliziani. Immagini che mal depongono a favore della credibilità di Roma nella regione. Rimane ambigua d’altronde la posizione dell’amministrazione Trump, prima incline a dialogare con Haftar, ora più vicina al governo di Tripoli di Fayez al-Sarraj. Il summit Nato può essere il giusto palcoscenico per sciogliere anche questo nodo.


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