Ieri la visita a Roma del segretario generale del sindacato europeo IndustriAll, Luc Triangle, che ha voluto incontrare i vertici dei sindacati italiani del settore industriale affiliati all’organizzazione europea da lui guidata. L’incontro si è svolto nel giorno successivo alla presentazione a Bruxelles del Green Deal da parte della Commissione Ue.
Il Piano continentale
Una ‘legge per il clima’ per rendere irreversibile il percorso verso un’Europa a emissioni zero nel 2050 e un piano per aumentare gli obiettivi di riduzione delle emissioni Ue dal 40% al 50-55% al 2030. Questi i due pilastri su cui poggia il nuovo Green Deal che la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha svelato l’11 dicembre. La prima iniziativa, prevista a gennaio, sarà un piano per gli investimenti sostenibili che includerà uno strumento finanziario per coinvolgere anche le regioni dell’Ue più dipendenti dalle fonti fossili (Fondo di transizione equa che punta a mobilitare 100 miliardi di euro in sette anni). Nel 2021 partirà l’aggiornamento di buona parte della legislazione sul clima approvata negli ultimi cinque anni e l’Ue si doterà di un meccanismo per tutelare, nei settori più esposti alla transizione, l’industria europea dalla concorrenza di Paesi terzi che hanno criteri meno stringenti sul clima. Da una parte, ha spiegato von der Leyen, “c’è l’obiettivo di diventare un continente neutro per il clima entro il 2050, e dall’altra una road map con 50 azioni per arrivarci”. “Sono convinta che il vecchio modello di crescita basato su combustibili fossili e inquinamento sia fuori dal tempo e dal mondo”, ha detto la presidente, convinta che il Green Deal sia un progetto “ambizioso, ma dobbiamo stare molto attenti a valutare l’impatto ed ogni singolo passo che intraprendiamo”. Mettendo in atto la “nuova strategia di crescita” del Green Deal, “dobbiamo essere sicuri che nessuno resti indietro, perché o questa strategia funziona per tutti, o per nessuno”. Perciò con il “Meccanismo per una transizione equa abbiamo l’ambizione di mobilitare 100 miliardi per le regioni e i settori più vulnerabili”, ha annunciato la presidente.
La posizione del sindacato europeo
Anche IndustriAll ha preso posizione sul Green Deal specificando che il piano europeo in questione dovrà presentare dei connotati sociali per essere accettato dai sette milioni di addetti che nel vecchio continente lavorano nelle industrie manifatturiere, energetiche e minerarie. “Siamo soddisfatti – ha detto il leader dei sindacati industriali in Europa, Luc Triangle – del fatto che gli incessanti inviti dei sindacati hanno portato all’adozione della ‘giusta transizione’ come principio guida per una fase di passaggio caratterizzata dal successo. Dopo anni di discussioni, avremo ora uno strumento europeo a sostegno delle regioni dipendenti dai combustibili fossili e dal molti lavoratori che vivono ancora di attività ad alta intensità di carbonio. Questo è un passo nella giusta direzione, ma dobbiamo essere chiari sul fatto che la trasformazione industriale di queste regioni richiederà investimenti sostenuti e sicuramente più della quantità annunciata disponibile per il meccanismo di transizione giusta. L’industria è la spina dorsale della nostra economia e l’Unione europea dovrebbe garantirne la trasformazione attraverso investimenti e innovazione tecnologica, proteggendola al contempo da una concorrenza sleale. I lavoratori non accetteranno politiche che portino alla delocalizzazione dell’industria continentale e posti di lavoro correlati in paesi in cui le politiche climatiche sono molto più deboli o che non esistono nemmeno ”.
No alla New Green Tax
“Il Green Deal presentato dalla Commissione europea può essere una grande opportunità per l’economia nel senso di una trasformazione delle nostre attività industriali, orientandole verso un’economia circolare per una transizione energetica sostenibile. Non confondiamo, però, la New Green Deal con una New Green Tax, vale a dire: non si può procedere su obiettivi così vasti e importanti con tasse messe qua e là, a caso, che deprimono l’economia. Così Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec, categoria della Uil che rappresenta i lavoratori dell’industria tessile, dell’energia e della chimica, ha giudicato il grande piano decennale di investimenti per ridurre le emissioni di CO2 lanciato dalla presidente della Commissione europea, Ursula Van Der Leyen. “Si tratta di capire –ha continuato Pirani- che, se puntiamo ad aumentare i consumi elettrici, dobbiamo anche porci anche il problema di come produrre questa energia elettrica o, altrimenti, potremmo rischiare di dover stoppare il flusso verso le industrie energivore o di dover comprare energia elettrica da altri Stati, come la Francia. La decarbonizzazione e dunque la chiusura delle centrali a carbone, che secondo il Piano integrato per l’energia e l’ambiente dovrebbe avvenire entro il 2025, va bene, ma dobbiamo sapere quali fonti di energia alternative usiamo. Le rinnovabili come il solare o l’eolico sono discontinue e non garantiscono una produzione costante. E nel nostro Paese ci sono ancora centrali a carbone che servono vaste zone anche industriali: Civitavecchia, Brindisi, La Spezia, in Sardegna addirittura due, Fiumesanto e Portoscuso. Noi pensiamo che una valida alternativa utile in questa transizione energetica sia l’uso del gas naturale, ma ci sono variabili geopolitiche internazionali e comunque anche di scelte politiche nazionali. Siamo infatti rimasti stupiti che il premier Conte nella sua ultima visita in Sardegna abbia detto che non c’era bisogno di fare la cosiddetta ‘dorsale’, vale a dire un gasdotto che attraversi la regione, e che invece si pensi all’intervento di Terna attraverso una conduttura elettrica, come è stato fatto col Montenegro. Ma per fare un’infrastruttura del genere in Italia ci vuole molto tempo, basti pensare ai tempi necessari per tutte le autorizzazioni. E allora quello che noi sollecitiamo è una cabina di regia, con le parti sociali e il governo, e che conti davvero, e un progetto reale di transizione energetica. Due passaggi fondamentali, perché, oltre al fatto che siamo già in ritardo e che ci dobbiamo muovere subito, occorre stabilire con chiarezza gli investimenti, come velocizzare le autorizzazioni e, soprattutto, come agire con ordine e con interventi che siano in sincronia”.
Il governo si riposiziona
Anche il governo, in materia di transizione energetica, ha espresso delle posizioni interessanti, come dimostrano le dichiarazioni rilasciate dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, al quotidiano “La Stampa”. “E’chiaro –ha detto il ministro- che non si può passare in un giorno dalle fonti fossili alle rinnovabili e all’idrogeno. Non può che essere un percorso graduale, per accompagnare lo sviluppo delle nuove tecnologie pulite; il primo passo è abbandonare il carbone, usare il gas per la transizione, e puntare su rinnovabili e idrogeno per poi abbandonare anche il gas”. Gianni Bessi, esperto di questioni energetiche, non ha dubbi: “Se il governo ha cambiato idea sulla strategia energetica lo dimostri: Eni aveva previsto investimenti considerevoli ma ora la sua presenza su diversi territori è a rischio, come a rischio sono l’indotto e la sicurezza nazionale, che è strettamente collegata alla possibilità di essere autosufficienti in materia di approvvigionamento energetico”. Parole che mettono in evidenza come il gas naturale sia l’energia di domani. Non solo perché rappresenti una componente del ‘mix’ per la transizione energetica, ma uno degli elementi su cui costruire un’economia circolare, moderna e funzionante.
Le riconversioni a gas
Quindi, occorre essere conseguenziali. Un mondo con risorse limitate ci obbliga ad una profonda modifica del modo di produrre e consumare, ma in assenza delle risorse economiche necessarie nessuna transizione sarà possibile, nessuna economia circolare sarà attuabile, nessuna tecnologia sostenibile avrà mai costi economicamente compatibili. La dipendenza energetica del nostro Paese è tra le più elevate in Europa e si caratterizza per la più alta dipendenza dal gas naturale tra tutti i paesi della Comunità Europea. La quota maggiore dei consumi è quella destinata agli usi civili, seguita dai trasporti e dall’industria. La quota più rilevante negli usi civili è quella della climatizzazione domestica .L’intervento pubblico sulle modalità di consumo negli edifici pubblici e nelle abitazioni private sarà quindi fondamentale per il raggiungimento dei nuovi obiettivi di politica energetica ed ambientale. Manca ancora una strategia di lungo termine per sostenere le ristrutturazioni del parco nazionale degli edifici residenziali pubblici e privati, necessario per ottenere minori consumi; manca un parco immobiliare de-carbonizzato ed ad alta efficienza energetica nei tempi indicati; mancano strumenti e risorse destinate. Negli ultimi decenni, si sono, inoltre, rinviate decisioni relative alla realizzazione di quelle misure che avrebbero consentito al sistema minor costi per miliardi di euro sia nel settore del gas che in quello elettrico. La sicurezza energetica, dovrà essere quindi assicurata per un periodo di tempo significativo dagli idrocarburi. Certamente, le componenti più inquinanti devono essere eliminate, le centrali più inquinanti devono essere modificate, e vanno incrementati gli investimenti in tecnologia per fare queste trasformazioni. Dobbiamo porre fine ai processi di chiusura di impianti e programmare una serie di riconversioni a gas di centrali esistenti che consentano una transizione economicamente sostenibile, avviando al più presto il meccanismo che crei partnership tra investimento privato e aziende a controllo pubblico.
È un bene che sindacati, imprese ed istituzioni comincino un serio confronto sulla transizione energetica da compiere. Giusto che accada in ambito europeo; urgente che succeda presto qui da noi.