“Russia, Siria e Iran stanno uccidendo, o stanno per uccidere, migliaia di civili innocenti nella provincia di Idlib. Non fatelo! La Turchia sta lavorando duramente per fermare questa carneficina”. È un tweet piuttosto inusuale fatto da Donald Trump ieri pomeriggio che riprende l’assalto contro la roccaforte ribelle siriana, Idlib, in cui il regime e i suoi alleati – russi e iraniani appunto – non stanno risparmiando azioni contro i civili.
In quello che scrive il presidente americano si legge una specie di ingerenza in dinamiche extra-Usa, qualcosa di non troppo America First, per quanto l’argomento è uno di quelli di interesse internazionale, sia sul piano umanitario che politico. E inoltre c’è una sorta di plauso all’attività turca che stride con la linea dura presa dal Congresso riguardo alcune decisioni di Ankara, per esempio quella sull’acquisto dei sistemi anti-aerei S-400 russi – per cui i turchi sono finiti sotto sanzioni.
La Siria è un argomento complesso per tutti, su cui Trump è già scivolato. Ha avallato blitz di rappresaglia, seppur simbolica, bombardando per due volte postazioni del regime in risposta a due attacchi chimici. Bombardamenti che sono andati in contrasto con la volontà di disingaggio di cui ha parlato fin dall’inizi della candidatura.
E proprio per questa è da oltre un anno che annuncia il ritiro dei soldati americani che nel Paese sono impegnati in missioni anti-terrorismo (pochi mesi fa hanno eliminato il numero uno dei nemici: Abu Bakr al Baghdadi, il Califfo), ma non trova completa soddisfazione.
Per spingere l’acceleratore sul ritiro ha allora permesso alla Turchia di entrare nel nord siriano, spostando le sue truppe e lasciando gli alleati anti-Is, i curdi siriani, in pasto all’attacco nemico. Per i turchi i curdi sono terroristi, e Ankara ha avuto un via libera per la campagna con cui liberare il nord della Siria dai nemici proprio dopo una telefonata tra Recep Tayyp Erdogan e Trump.
Ora l’americano ringrazia la Turchia che “is working hard” per salvare Idlib – dove, durante la riconquista del Paese, i lealisti hanno via via spostato i ribelli chiudendoli in una sorta riserva di caccia in attesa della soluzione finale. Ma è possibile che Ankara abbia “barattato” Idlib per il nord siriano.
Ossia potrebbe aver fatto uno scambio con la Russia: Mosca, che difende il regime e controlla il territorio siriano, avrebbe permesso l’azione turca contro i curdi nel nord, mentre Ankara avrebbe concesso ai russi di spingere le forze governative dentro Idlib, dove le opposizioni sono teoricamente difese dal punto di vista politico dalla Turchia.
Il tweet di Trump potrebbe essere un caso di studio di come il presidente americano prende posizioni senza rispettare troppe gli analisti e troppi convenevoli diplomatici. Erdogan attualmente ha un ruolo centrale sia nella questione siriana, come lo gioca da sempre, sia in Libia. La Turchia è diventata un player sul dossier che riguarda la guerra civile nel paese nordafricano dando sostegno al governo internazionalmente riconosciuto che da Tripoli si difende dall’assalto di un capo-miliziano della Cirenaica.
Gli Stati Uniti seguono il dossier libico con relativo interesse, aumentato però da una circostanza: la Russia s’è posta, almeno in via clandestina (attraverso contractor militari privati), sul lato della Cirenaica e Washington non può tollerare questa attività di disturbo. Ma per gli Usa anche l’aumento dell’assertività turca è problematica vista che altera equilibri nel quadrante geopolitico dell’EastMed, dove gli americani sono presenti in competizione con la penetrazione russa e soprattutto cinese.