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Perché la Turchia dota le forze armate di droni autonomi. L’analisi di Mensi

Il sito BiometricUpdate.com nel numero dell’11 novembre riportava che la Turchia sta munendo le proprie Forze armate di droni a guida autonoma dotati di riconoscimento facciale. Si tratterebbe di trenta droni kamikaze Kargu (Autonomous tactical multi-rotor attack Uav) con riconoscimento facciale biometrico, forniti dalla Defense technologies engineering and trade Inc (Stm) importante società turca del settore dell’ingegneria e della difesa, che saranno disponibili a partire dal 2020, come scrive il Daily Sabah.

La società turca ha presentato per la prima volta i droni al Dsei (Defence & security equipment international) 2019 a Londra lo scorso settembre e ha dichiarato di avere in corso un’intensa attività di esportazione e sviluppo commerciale in oltre venti Paesi, dall’Estremo oriente al Sud America. La notizia richiama nuovamente l’attenzione su un tema spinoso: quello delle armi autonome, che presenta delicate implicazioni, anche in termini di responsabilità e profili etici. I droni in questione, destinati alle operazioni militari sul confine siriano, sono dotati di notevole capacità e precisione, hanno sistemi di intelligenza artificiale e possono trasportare un’ampia varietà di esplosivi che li rendono in grado di distruggere un’intera brigata di soldati così come una nave da guerra.

Utilizzano il riconoscimento facciale per rilevare bersagli umani e, secondo un rapporto dell’organizzazione olandese Pax, possono sparare autonomamente attraverso l’inserimento delle coordinate del bersaglio. Il medesimo rapporto mette in guardia contro gli effetti devastanti che potrebbero avere le armi militari guidate dall’intelligenza artificiale se le stesse fossero autorizzate a selezionare e attaccare autonomamente gli obiettivi senza alcun controllo umano. Numerose armi autonome letali sono peraltro già in uso o in fase di sviluppo. Israel aerospace industries (Iai), per esempio, ha sviluppato il Mini harpy, simile ai droni turchi, che volteggia in aria in attesa che il bersaglio appaia per poi attaccare e distruggere la minaccia ostile in pochi secondi.

“Queste aziende sono lungo la china che porta alla corsa agli armamenti di intelligenza artificiale”, ha dichiarato Frank Slijper, autore del rapporto che esamina cinquanta produttori di armi. In pubblico, le società produttrici dichiarano di non sviluppare armi in grado di operare senza il controllo umano sull’azione letale, ma in segreto stanno facendo esattamente l’opposto. Secondo la citata organizzazione olandese negli ultimi dieci anni, il numero di produttori di armi autonome è molto aumentato, con Cina, Russia, Polonia e Turchia in testa quali principali investitori, superando Stati Uniti e Israele. Ecco perché obiettivo da perseguire non è solo quello di imporre che vi sia sempre una forma di controllo umano, ma soprattutto che sia adottato al più presto un trattato internazionale che metta al bando le armi autonome letali.

Una convenzione (Ccw) del 1980, entrata in vigore il 2 dicembre 1983, che raccoglie 125 Stati, vieta o limita l’uso di armi che si ritiene possano causare sofferenze inutili o ingiustificabili ai combattenti o colpire indiscriminatamente i civili. Tuttavia, con riferimento alle armi autonome, la posizione degli Stati membri non è uniforme. Mentre alcuni ritengono che servano regole specifiche, altri preferirebbero misure meno vincolanti, quali raccomandazioni o linee-guida.

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