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Spunti per farsi contagiare (bene) dalla globalizzazione. Firmati Rocco D’Ambrosio

Non abbiamo bisogno di particolari dati statistici per affermare che nel 2019 abbiamo acquistato più prodotti on line. Allo stesso modo non sbagliamo se affermiamo che odi, razzismi, populismi e nazionalismi si sono accresciuti, non solo tra i politici ma anche tra i cittadini comuni. C’è una connessione tra realtà cosi diverse come il commercio on line, le sfide dell’immigrazione e alcuni malanni delle nostre democrazie? Sì che c’è e si chiama “globalizzazione”, una sorta di minimo comune multiplo della nostra contemporaneità.

Anni fa Anthony Giddens scrisse un interessante libretto sulla globalizzazione che “ridisegna la nostra vita” (Runaway World: How Globalization is Reshaping Our Lives) mettendo in evidenza come “la globalizzazione è un complesso insieme di processi, non uno soltanto, un insieme che opera in maniera contradittoria e conflittuale”.

Quest’anno è emerso ancor più questo aspetto di contraddizioni e conflittualità. Da una parte ci siamo immersi sempre più nelle tante connessioni globali: commercio on line, turismo, social network e, dall’altra, non abbiamo accettato, in molti, che a muoversi non fossero solo turisti e merci ma anche persone in fuga da fame, guerre e catastrofi naturali.

Sono state queste contraddizioni nell’approccio alla globalizzazione che hanno contribuito, in maniera determinante, ad aumentare il tasso di conflittualità con chi viene da lontano, con chi porta bisogni diversi e complessi, con chi, di fatto, sta male perché molto della globalizzazione, cioè quella “economia che crea scarti e uccide”, come ripete spesso papa Francesco, non va.

La globalizzazione ridisegna la nostra vita: è un fatto da cui non possiamo prescindere. Ma proprio perché è un fatto irreversibile dobbiamo imparare a leggere bene i suoi mille e complessi risvolti e a saperli fronteggiare in maniera lungimirante. Invece, fino al settembre scorso, abbiamo dovuto sopportare, per alcuni, e berci, per altri, la più stupida e pericolosa propaganda sui porti chiusi, sull’invasione africana, sul lasciarli morire in mare e via discorrendo. In alcuni momenti abbiamo dato l’idea di una gigantesca follia collettiva; con l’unica e magra consolazione di non essere gli unici nel mondo a esser diventati così miopi e spregiudicati.

È veramente consolante, invece, che una ragazza di sedici anni, Greta Thunberg, in poco meno di un anno abbia portato in piazza milioni di giovani e adulti, non solo cogliendo la portata globale dell’emergenza ambientale, ma invitando a pensare e a risolvere mondialmente, con scienza e coscienza, questa grave emergenza. Credo che quest’anno Fridays For Future sia stato il monito più saggio ed efficace: ci salviamo dal disastro ambientale solo e solamente insieme, come in unico villaggio.

Tuttavia il monito supera la sfera ambientalista e può contagiare positivamente tutti i percorsi di riforma sociale e politica. La globalizzazione ridisegna la nostra vita e lo fa mescolando elementi diversi, per natura e provenienza, come succede per le nostre città ormai composite, pluraliste, sciolte e mescolate (melting pot), dal punto di vista culturale, etnico, linguistico, religioso. Se volti, lingue, tradizioni, religioni, usanze si incrociano a una velocità impressionante, solo un supplemento di ragione e di cuore potrà orientare queste fusioni verso un autentico progresso.

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