È finito non solo un anno non solo un anno ma anche un decennio. E se ne è aperto un altro. Il decennio – ci aveva annunciato il presidente del Consiglio – si sarebbe dovuto chiudere con un “2019 bellissimo”. Ed è vero che allora guidava (per così dire) un governo di destra ed ora ne conduce (sempre per così dire) uno di sinistra. I dati sono eloquenti: stagnazione del Pil, aumento della diseguaglianze, frattura sempre più profonda tra Sud e Centro-Nord, crescita del debito pubblico e della spesa di parte corrente, circa l’80% degli italiani preoccupati per il loro futuro.
Non migliori le prospettive per il prossimo avvenire. Alla conferenza di fine anno, ben sapendo di avere una traballante maggioranza numerica in Parlamento ma di essere in minoranza nel Paese, il Presidente del Consiglio non ha proposto un triennio “bellissimo” per arrivare al termine delle legislatura e doppiare il capo dell’elezione del Presidente della Repubblica. Ha proposto tre anni di riforme ma senza indicare quali.
Una sola – a che si sappia – è in cantiere: il ritorno (sotto varia guisa) delle partecipazioni statali a circa trent’anni dallo loro fine. Si è svolto un ampio dibattito sulla rete a proposito dei meriti e dei demeriti dell’Iri. Per pudore non si sono approfonditi quelli dell’Efim. La materia, credo, spetti agli storici dell’economia e forse non si è ancora abbastanza distanti dalla fine dell’esperienza e troppi ex-manager del sistema delle partecipazioni statali sono ancora tra noi per poter fare una disanima equilibrata. Ora è come proporre di riedificare il Muro di Berlino a trent’anni dal suo abbattimento.
Non si tratta di un disegno organico, si dice, ma di spinte causate da “emergenze”. Nel settore bancario le emergenze non ci sarebbero state se fosse stato approvato il decreto sui criteri di professionalità e onorabilità (in linea con quelli europei) che giace da tempo nei cassetti (pare della Presidenza del Consiglio). Per Alitalia non ci sarebbe emergenza se invece di affidare ad improvvisati circa 11 miliardi di euro nell’ultimo quarto di secolo avessimo fatto seguire all’azienda il fato di Sabena, Pan Am, Twa e tante altre.
Per gli impianti siderurgici di Taranto sarebbe forse stato sufficiente a non dare adito a Acelor Mittal a fare marcia indietro sul contratto. A queste ed altre “emergenze”, si aggiunge il sempre presente sogno di una Banca del Sud senza chiari obiettivi ma con tanti posti da distribuire. Se le regole europee (soprattutto quelle sulla concorrenza) non bloccano questo disegno, si accontenteranno molto appetiti ma al costo di un ulteriore aumento della spesa pubblica improduttiva e di ulteriori distorsioni di mercato.
Gli anni Venti che stanno per aprirsi non si annunciano ruggenti, ma contrassegnati da una lenta decrescita infelice. L’Italia dovrebbe cercare non di arrancare ed annaspare ma di correre perché il fenomeno è europeo. Pochi hanno notato che in questi giorni, Usa e Cina hanno concluso un vasto accordo commerciale che nel brevissimo periodo allontana il pericolo di una guerra commerciale ma nel medio e lungo erode e forse distrugge i due principi di base – non discriminazione e reciprocità – che negli ultimi 70 anni hanno promosso la crescita del commercio mondiale su base multilaterale. Dell’intesa tra i due “grandi”, l’Europa non può non avere, nel medio e lungo periodo, che conseguenze negative. In un mondo di accordi bilaterali, di commercio (e finanza) segmentati, un Paese trasformatore di medie dimensioni come l’Italia non può che avere difficoltà. Se in questo quadro preoccupante, ci facciamo male da soli, è difficile non prevedere anni difficili.
Ciò nonostante auguri a tutti!