Oltre 6 milioni di ettari devastati, 25 vittime, almeno 2000 case distrutte, evacuazioni di massa dalle città della costa orientale circondate dal fuoco, inquinamento atmosferico persistente e diffuso con il record raggiunto da Canberra come la città più inquinata al mondo il 31 dicembre scorso. Mentre l’Università di Sidney ha stimato che circa mezzo miliardo di animali nativi sono stati uccisi solo nel Galles del Sud mentre alcune specie di animali e piante rischiano di essere completamente spazzate via. Questo è il bilancio, provvisorio, degli incendi che stanno devastando un sesto dell’Australia che corrisponde al territorio del Belgio.
Gli incendi estivi in Australia non sono una novità, almeno negli ultimi 15 anni, ma quanto sta avvenendo da quasi due mesi non ha precedenti. Una riduzione significativa delle precipitazioni nella stagione invernale e la siccità prolungata con temperature superiori alle medie storiche stagionali sono state e sono il “terreno di coltura” degli incendi di questi mesi..
Il Washington Post di ieri ha scritto “Australia’s apocalyptic fires are a warning to the world”, quanto sta avvenendo in Australia è un simbolo drammatico degli effetti del cambiamento climatico.
Eppure, la frequenza e ripetitività degli incendi nella stagione estiva e in particolare dopo il devastante Black Saturday di Victoria nel febbraio 2009, avrebbero dovuto consigliare una politica attiva di prevenzione e mitigazione. Anche perché il 4° Rapporto del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Ipcc) nel 2007 aveva avvertito che il rischio crescente di lunghi periodi di siccità associati all’aumento della temperatura avrebbe avuto come conseguenza l’aumento della frequenza e vastità di incendi nelle regioni maggiormente vulnerabili, tra le quali l’Australia.
E nel 2014 il capitolo “AustralAsia” del Rapporto di Ipcc su “Impacts, Adaptation, and Vulnerability” aveva considerato altamente probabili la riduzione delle precipitazioni e la crescente siccità nel sud ovest dell’Australia, con un aumento significativo del rischio di incendi.
Ma il primo ministro Scott Morrison e il ministro Angus Taylor negano che la lunga siccità, l’aumento della temperatura e gli incendi siano un effetto dei cambiamenti climatici, e affermano che non devono essere adottate misure incisive per combattere il cambiamento climatico perché l’Australia contribuisce solo per l’1,3% delle emissioni globali di carbonio.
Ma le emissioni pro-capite sono poco al di sotto di quelle degli Stati Uniti, e 3 volte superiori a quelle dell’Unione Europea. E, soprattutto, l’Australia è oggi il maggiore esportatore al mondo di carbone.
Se il governo australiano dovesse riconoscere che la devastazione del Paese è un effetto dei cambiamenti climatici, dovrebbe necessariamente adottare misure per limitare l’impiego e l’estrazione di carbone mentre la gestione del territorio dovrebbe essere finalizzata alla ricostruzione e protezione delle foreste pluviali e delle zone umide per contrastare la desertificazione e aumentare la capacità naturale di assorbimento del carbonio atmosferico, ovvero modificare obiettivi e politiche del modello di “crescita” attuale.
La posizione del governo, sostenuta dalla stampa “negazionista” di Rupert Murdoch e ovviamente dalle compagnie carbonifere, sta suscitando critiche crescenti e sta provocando un largo movimento nell’opinione pubblica australiana sulla necessità di una svolta “verde” nella politica economica.
Il cambiamento climatico che incendia l’Australia è lo stesso che provoca l’aumento degli eventi estremi in tutti i continenti, dallo scioglimento dei ghiacci alle inondazioni, dalla desertificazione alla acidificazione degli oceani, dallo scioglimento del permafrost agli incendi delle foreste boreali. L’Australia siamo noi.
Richard Flanangan ha scritto sul New York Times il 3 gennaio: “Come ha osservato una volta Mikhail Gorbaciov, l’ultimo leader sovietico, il crollo dell’Unione Sovietica iniziò con il disastro nucleare di Chernobyl nel 1986. Sulla scia di quella catastrofe, ‘il sistema come lo sapevamo divenne insostenibile’, scrisse nel 2006. Potrebbe essere che l’immensa tragedia ancora in atto degli incendi australiani possa diventare la Chernobyl della crisi climatica?”.