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Revoca ad Autostrade? Il Contismo alla prova dei fatti

La revoca della concessione autostradale è assolutamente pericolosa perché determinerebbe un contenzioso i cui effetti onerosi, del valore di almeno 10 miliardi di euro, ricadrebbero sui cittadini, oltre ad alimentare un clima e un sentimento antindustriale che avrebbe come unica finalità quella di allontanare i potenziali investitori dal nostro Paese.

La revoca, al contrario delle affermazioni semplicistiche del ministro Di Maio, che dovrebbe invece preoccuparsi del suo dicastero considerate le situazioni esplosive del Medio Oriente e della Libia, servirà solo ad inasprire una situazione che a causa anche della scarsa attenzione dello Stato che non ha svolto appieno il suo ruolo di controllore, in questi anni si è fatta dirompente (il caso Di Maio peraltro ripropone la questione degli incarichi nell’esecutivo di un capo politico, attento ad evitare strappi e tensioni con la base e poco incisivo nella risoluzione dei problemi del Paese).

Nel dossier del governo, infatti, è scritto che ci sono “troppe evidenze concrete, di situazioni di mancata manutenzione, di ritardi o di manutenzioni fatte secondo criteri non oggettivi”. A questo vanno aggiunte anche le valutazioni al vaglio della magistratura sul crollo del Ponte Morandi.
Siamo sicuri che lo Stato è completamente esente da colpe? Perché i controlli sulle attività di manutenzione sono stati affidati direttamente al concessionario? Perché i contratti sono stati secretati per quasi venti anni?

Toccherà al presidente del Consiglio Conte, come chiede il Pd dal ministro De Micheli al sottosegretario alle Infrastrutture Margiotta, a decidere cosa fare, ma un punto appare incontrovertibile: revocare una concessione, seppure alla presenza di evidenti inadempienze e carenze sotto il profilo del management (la lettera di Luciano Benetton ai media a riguardo è stata chiara), non è un passaggio facile e indolore.

Altrimenti, visto che la componente grillina degli esecutivi Conte 1 e 2, ne parla con insistenza dal 14 agosto 2018 (giorno del crollo del Ponte Morandi) poteva essere autorizzata e decisa già da tempo. Ma al di là delle parole, che per una società quotata in Borsa determinano oscillazioni pericolose del titolo oltre ad impattare sul rating (Moody’s ha tagliato di nuovo a distanza di un mese il rating sul debito di Atlantia da Ba1 a Ba2) e di Aspi (da Baa2 a Baa3), ad oggi la politica non ha saputo fare altro.

Già nel 2006, la Ue ha sancito che i contratti di concessione non sono modificabili in modo unilaterale, e a questo punto per evitare che il Paese si debba accollare un maxi indennizzo occorre andare nella direzione di ridefinire la concessione. Siamo contrari come Osservatorio alla revoca perché la soluzione alternativa indicata dal governo (passare la gestione temporale dei tratti autostradali dati in concessione ad Anas) non ha valutato le modalità dell’individuazione di un progetto di nazionalizzazione delle autostrade seppure limitato nel tempo, che non possono essere improvvisate ma devono essere contestualizzate all’interno di processi di portfolio management a livello strategico, con la definizione anche delle competenze e delle risorse che dovranno essere utilizzate in un’ottica di program project management, competenze che nonostante l’ingresso in Ferrovie dello Stato l’Anas sembra ancora non avere, oltre a scontare una cronica carenza di personale.

Mi sembra da questo punto di vista che i tecnici del Ministero siano stati molto chiari con l’allora ministro Toninelli, quando a luglio 2019 hanno sottolineato l’inopportunità della revoca, i cui presupposti giuridici andavano di fatto provati, perché avrebbe aperto degli scenari i cui esiti non sono affatto scontati e appaiono oggi del tutto imprevedibili. La tragedia di Genova e gli ultimi fatti di cronaca, invece, devono contribuire e dare ulteriore forza alla decisione del governo di rinegoziare le concessioni autostradali (lo ha detto di recente anche l’attuale ministro delle Infrastrutture De Micheli e non lo ha escluso il segretario Dem Zingaretti), come abbiamo chiesto all’inizio del 2018 all’allora ministro Del Rio, molto prima quindi della tragedia del Ponte Morandi, per evitare in quella occasione lo stillicidio degli aumenti autostradali ad inizio anno.

Presidente Conte prenda in mano la situazione, convochi subito un Tavolo Tecnico (al quale siamo pronti a partecipare come Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni), insieme con il concessionario, Aiscat, le associazioni di categoria, i sindacati e le associazioni dei consumatori, perché la questione in agenda attiene allo sviluppo di una politica industriale sulle infrastrutture. Si vada nella direzione di ridefinire i contratti di concessione nell’interesse pubblico, evitando la criminalizzazione di gruppi di azionisti (l’intervento di Vito Gamberale sul Corriere della Sera di ieri andrebbe distribuito nelle aule universitarie dove si insegna Diritto e Comunicazione) che hanno avuto il merito di investire e scommettere sull’efficienza di un settore strategico per lo sviluppo del Sistema Italia.


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