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Israele e Palestina, ci sono alternative al piano di Trump? Il commento di Bressan (Lumsa)

Ai microfoni di Radio 1, l’ambasciatrice palestinese in Italia e presso la Santa Sede, Abeer Odeh, ha detto che “il piano di Trump in Medio Oriente è già morto perché illegale. Trump fa accordi solo con la componente di destra del governo di Israele, i palestinesi non sono parte del negoziato”.

È uno dei vari commenti negativi che esce dopo l’annuncio, ieri, di quello che dalla Casa Bianca viene definito “The deal of the century”, ossia il piano per un accordo tra Israele e Palestina. Un’eredità della sua presidenza che Donald Trump ha sempre detto di voler lasciare risolvendo una delle più complesse questioni politico-territoriali della storia.

Secondo la gran parte delle analisi diffuse a caldo, il piano di Trump è molto sbilanciato sul lato d’Israele e per questo considerato irricevibile da parte dei palestinesi — che infatti hanno già espresso contrarietà come fatto dall’ambasciatrice e dai vertici dell’Autorità. L’offerta di Trump in realtà è netta: pace, demilitarizzazione, accettazione dello status quo, in cambio di aiuti che potrebbero far uscire la Palestina dalle difficoltà economiche. Parola d’ordine “prosperità”, in cambio di “pace”: lettura iper-realista della situazione, anche passando tra i dettami del diritto internazionale.

Secondo alcune letture, dietro all’annuncio ci sarebbe anche un interesse elettorale: Trump è in corsa per la riconferma a fine anno e vorrebbe incassare un risultato, mentre per Benjamin Netanyahu (che ieri era a Washington a fianco al presidente americano) c’è un nuovo round elettorale il 2 marzo. “Indipendentemente dalla collocazione temporale, l’annuncio del piano ‘Peace to prosperity’ ci dice molte cose”, commenta con Formiche.net Matteo Bressan, docente della Lumsa e componente del comitato scientifico della Nato Defense College Foundation.

Per esempio? “Sebbene sia già emersa la netta contrarietà al piano sia da parte del presidente palestinese Abu Mazen sia da parte di Hamas, c’è da chiedersi nell’attuale contesto internazionale e, nello specifico, in quello regionale, chi possa esser concretamente in grado di formulare ipotesi più o meno credibili per la soluzione del conflitto israelo-palestinese”.

È una lettura pragmatica: Turchia, Giordania e Iran si sono dichiarati contrari all’accordo. Invece Emirati Arabi Oman e Bahrain erano presenti a Washington alla presentazione trumpiana. Assente l’Arabia Saudita: non ne è chiaro il motivo, se per contrarietà col piano americano oppure per tenersi politicamente più distaccata. “Dobbiamo essere chiari: in assenza di un attore o più attori in grado di garantire un equilibrio di potenza nella regione tale da poter formulare ipotesi ricevibili sia per le autorità israeliane sia a sostegno della causa palestinese, non sembrano oggi esserci le condizioni per nuovi negoziati”, aggiunge Bressan.

Questo cosa significa? “Le probabili e imminenti critiche al piano ci consegnano la prova più evidente dell’urgenza di un profondo rinnovamento delle principali organizzazioni internazionali, così come la necessità, ormai non più rinviabile, di nuovi meccanismi di risoluzione delle crisi alle luce di quanto visto negli ultimi 30 anni”.

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