Dopo sei settimane di agitazioni, culminate ieri in decine di manifestazioni in tutta la Francia, alle quali hanno preso parte centinaia di migliaia di persone, riprendono le trattative sulla riforma delle pensioni.
In un Paese bloccato (metropolitana a scartamento ridotto, autobus rari e discontinui, taxi che si fanno attendere fino a quarantacinque minuti), percorso da una folla imbestialita ed un ceto medio incredulo (quello che ancora si può definire tale dopo la mannaia fatta scendere sul suo capo da Macron) composto da avvocati, medici, ingegneri, insegnanti – in strada a protestare anche loro – il governo di Eduard Philippe ritiene di poter sedare la rivolta – ben peggiore di quella dei gilets jaunes – capeggiata dai ferrovieri, forte e determinata categoria, con qualche labile promessa che non toccherà il principio della riforma, vale a dire l’aumento dell’età pensionabile. E già questo è un affronto insopportabile.
Non si capisce a questo punto se Macron sia più ostinato o cieco. Oppure tutte e due le cose. Fatto sta che la Torre Eiffel, tristemente chiusa per protesta del personale, sembra guardare lo spettacolo di una Parigi disordinata, dove ogni giorno la gente esce di casa, ma non sa come e quando arriverà a destinazione e come farà ritorno.
Ieri a Parigi per la prima volta nella sua lunga storia, soltanto due linee della metropolitana si sono mosse, mentre la maggior parte delle scuole sono rimaste chiuse. Gli appelli, da parte di sindacati e semplici cittadini, a bloccare le vie d’accesso ai principali porti francesi, primo tra tutti quello di Marsiglia, si ripetono quotidianamente in maniera ossessiva. E il leader del sindacato Cgt, Philippe Martinez, accusa il governo di mantenere una “posizione provocatoria” sulla riforma insistendo per il suo completo ritiro. Insomma, non passa l’idea di un unico piano previdenziale, come vorrebbe Macron, e i francesi sono disposti ad andare fino in fondo nel rifiutare il progetto del governo che penalizza tutte le categorie. All’Eliseo non si capisce che in meno di tre anni di mandato, uno e mezzo finora è stato segnato da scioperi, proteste, violenze, contestazioni e disordini. Una situazione che non conosce precedenti ed è destinata ad aggravarsi avendo Macron dimostrato ampiamente di rifiutare il principio dell’intermediazione con le parti sociali e con le forze politiche.
Credendosi un “monarca repubblicano”, ritiene di avere poteri assoluti da esercitare a danno della nazione e per nulla sentendosi assediato, continua come se niente fosse la sua cavalcata nel nulla.
La Francia è peggiorata sotto tutti i punti di vista dal maggio 2017; la gente vive con sconcerto la decadenza del Paese; le classi più dinamiche temono per l’economia che va a rotoli, ma anche per il livello di vita individuale che è enormemente mutato. Insomma, si sta peggio di sempre. E l’immagine di una nazione in dissesto è rappresentata da Parigi, deturpata come mai lo era stata in precedenza, quasi dimenticata da chi dovrebbe provvedere al suo decoro e alla sua immagine.
Scendere nella metropolitana equivale a farsi un giro agli inferi: c’è di tutto, manca soltanto l’ordine. I volti rabbuiati della gente raccontano un disagio che in decenni di frequentazione della capitale non avevamo mai riscontrato. Molti giovani sembrano rassegnati e sorseggiano il loro bicchiere di rosso come se ciò che accade intorno fosse una fatalità impossibile da rimuovere. Spingendosi fuori Parigi, il disagio di vivere si avverte maggiormente: è come se fosse collassato un sistema comunitario che soprattutto nelle regioni agricole sopravviveva ed era la forza della gente in tempi magri. L’aumento del prezzo del carburante non ha certo migliorato i rapporti tra la popolazione ed il potere; anzi, ha innescato una spirale di incomprensione e di risentimento trasformatasi in contestazione violenta. Se poi i ceti produttivi, vengono toccati con le tasse ed il regime pensionistico muta come il tempo, c’è poco da stare allegri.
La Francia di Macron ha perduto il filo che la teneva legata anche nei momenti difficili. Lo scollamento che si avverte è dovuto anche all’inconsistenza dei partiti politici che sembrano essersi defilati dal gioco crudele che si sta disputando. In una parola: nessuno crede più alla destra, alla sinistra, all’esangue centro perché non c’è una sola forza capace di proporsi come autentica alternativa a Macron il quale vivacchia con il suo En Marche! sperando di limitare i danni.
E non finirà presto la crisi francese. I commentatori più avveduti ne sono consapevoli. L’uscita di scena di Macron non è scontata per assenza di alternative concrete. È questo il vero dramma politico francese, l’assurdo nel quale il Paese è immerso.
Neppure gli intellettuali, a parte qualcuno, capiscono come si sia arrivati a tanto, come il disordine imperversi al punto di far temere un collasso politico-istituzionale. E nessuno se la sente di scrivere almeno un libro che spieghi ciò che in tre anni è accaduto. Anche questo è il sintomo di una decadenza che dovrebbe allarmare l’intera Europa. Dopo gli agricoltori, i ferrovieri, i pensionati, i gilets jaunes, la rivolta la sta facendo il ceto medio. Non finirà con un rituale Allons enfant de la Patrie…