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Cosa si gioca la Cina con il coronavirus. Conversazione con Amighini (Ispi)

Il problema che la Cina si è trovata davanti col caso del coronavirus 2019-nCoV è di due ordini. Il primo è tecnico: la viralità è alta, anche perché la sintomatologia iniziale è quasi inesistente. L’incubazione lunga facilita la diffusione, e – anche se la letalità pare sia non estremamente elevata, sebbene in crescita – la distribuzione virale può prendere le dimensioni di una pandemia. Su tutto va detto che ancora questo ceppo non è stato perfettamente inquadrato e studiato nella sue forme di mutazione e contagio: ecco perché la situazione è così grave.

Il secondo ordine, non meno importante del primo, è invece politico. La Cina non è un paese come tutti gli altri. È una forma autoritaria lanciata verso la vetta del mondo. Da quando Xi Jinping è diventato segretario del Partito comunista, e dunque capo dello stato, il suo obiettivo è sempre stato accreditare il volto buono del suo paese sul piano internazionale, per fare di Pechino una potenza globale in grado di esercitare influenza politica, e far passare in secondo piano il sistema autoritario cinese. “Lo stanno facendo anche in questo caso in effetti”, commenta con Formiche.net Alessia Amighini, co-head dell’Asia Center dell’Ispi.

“Stanno costruendo degli ospedali con rapidità estrema, per esempio. Una cosa che ha fatto molto scalpore, ma poi mi dicono da Shanghai che non hanno le mascherine. Loro son sempre così, lavorano forte sul piano visibile e poi se guardi sotto invece… È ormai la terza volta che succede qualcosa del genere: siamo di nuovo davanti a un ritardo voluto nelle comunicazioni. La Cina deve imparare che diventare grandi significa anche assumersi delle grandi responsabilità”.

La questione coronavirus diventa un test. Non è un caso che tra gli obiettivi non troppo esplicitati del governo cinese c’è quello di aumentare il controllo sulle organizzazioni internazionali. Per creare il contesto seguendo la cronaca: il Global Times, pubblicazione in inglese del Quotidiano del Popolo (il giornale del partito), ha un live-update della situazione del virus, ma è comunque un’informazione filtrata. Il governo cinese dice di trattare 2019-nCoV con le massime misure di sicurezza possibili, ma alla fine ad accertare tutto sono gli organismi internazionali. E ça va sans dire che se la Cina li controlla, gli stessi non andranno mai contro la Cina.

Qual è il Paese che investe più soldi per le proprie delegazioni alle Nazioni Unite? Proprio la Cina, che stacca tutti gli altri (che hanno allentato il sostentamento all’interno di certi organismi). Come ricordava la giornalista esperta di Asia Giulia Pompili nella sua newsletter “Katane” due settimane fa, Pechino presiede già l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, quella dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale e quella dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile, e a novembre dello scorso anno ha ottenuto il controllo della Fao. Sono entità sovranazionali dove solitamente chi immette più investimenti si aggiudica la presidenza. E dalla presidenza può muovere il gioco.

Il motivo per cui i cinesi vogliono penetrare queste organizzazioni è strategico. E d’altronde basta guardare agli ambiti: telecomunicazioni, sviluppo industriale, aviazione civile, cibo e agricoltura. Tutti campi in cui la Cina ha profondi interessi, che cerca di difendere conquistandone la leadership internazionale – molto spesso in modo indisturbato. “È certamente una strategia. Alcuni di quei funzionari si muovono sotto il controllo del governo quasi a livello robotico. D’altronde da Pechino fanno sparire le persone, pensiamo per esempio al caso del direttore dell’Interpol. Hanno il terrore. E allora mi chiedo: che Cina è diventata? Ripeto: se Pechino vuole diventare un paese grande, deve necessariamente cambiare. Ma su questo la Comunità internazionale ha diritto e dovere di fare voice“, sottolinea l’analista e docente italiana.

Due giorni fa, il segretario Xi ha incontrato il presidente dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus. L’Oms è chiaramente l’ente globale che ha il compito di monitorare e indirizzare la gestione della crisi. Il faccia a faccia è sembrato però più che altro una meravigliosa photo-opportunity per il leader cinese, che ha avuto modo di trasmettere al mondo intero quanto il suo paese sta facendo per contenere la diffusione “del diavolo” – così ha chiamato il virus – costruendo un’aurea eroica intorno a Pechino.

“L’Oms è stata accomodante. Hanno farfugliato una reazione che inizialmente non è stata di certo adeguata: non si capiva nemmeno come volessero gestire l’emergenza. Soltanto ieri hanno deciso di dare lo status di ‘emergenza sanitaria globale’. Ma siamo chiari: abbiamo già superato la dimensione della Sars. Ieri è stato un giorno di exploit del virus (la stima sulla mortalità è scattata dal 2 al 3 per cento in poche ore, ndr), ma ci si aspetta un picco tra circa dieci giorni. E ancora non si è capito a sufficienza sui meccanismi di trasmissione e mutazione”, aggiunge Amighini.

Il giusto mix di mitigazione e narrazione serve sia sul piano interno che esterno.I cittadini iniziano a essere spaventati e possono perdere fiducia, e poi sulla Cina pesano considerazioni obiettive sull’abitudine di diffondere le informazioni in modo parziale; tralasciando un’ignoranza strisciante (quella che per esempio porta le persone a cercare su Google se il coronavirus sia collegato a una certa marca di birra messicana: fonte South China Morning Post). “Ormai è chiaro che stiano provando a gestire il come salvarsi la faccia, ma è altrettanto chiaro che il danno è enorme. Credo che quello che devono fare adesso è più che altro tenere il passo e contenere il più possibile le conseguenze”.

Ieri la Russia ha preso una decisione estrema: ha chiuso il confine con la Cina (parliamo di 2700 chilometri di frontiera). A questo punto è evidente che anche certi schemi di vicinanza – come quella recentemente consolidata tra Mosca e Pechino – siano saltati. E circolano stime sulle perdite economiche legate alla diffusione e a ciò che seguirà.  Tre giorni fa, il Financial Times ha pubblicato i risultati di un’analisi effettuata dalla scuola di economia di Oxford secondo cui il virus avrà un impatto profondo sulla crescita economica cinese. “Certo. Al di là dei numeri, è chiaro che le ripercussioni saranno enormi, poi che sia un disastro con un numero davanti o meno poco cambia. Ritengo infatti che ancora sia presto per quantificare, ma già l’analisi quantitativa ci dice che le conseguenze sulla crescita cinese saranno forti: basta pensare che tutto è partito dalla provincia di Hubei, dove si trova la metropoli che ha fatto da focolaio-zero, Wuhan. Stiamo parlando del centro della strategia del go-west partita diversi anni fa. È un motore quello colpito”, spiega Amighini.

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