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Così il coronavirus contagia (anche) il Pil cinese

Il coronavirus contagia anche l’economia cinese. Non bastano le centinaia di casi e le quasi 50 vittime del misterioso viruso comparso giorni fa nella megalopoli di Wuhan. Ora anche la seconda economia del Pianeta rischia di pagare dazio. E non ci sono solo le Borse a soffrire (l’ultima sessione della Borsa di Shanghai prima del Capodanno lunare, poi annullato, ha chiuso con un cedimento del 2,8%, il peggiore da otto mesi). Interi pezzi di industria cinese sono a rischio. E qualcuno, ha già fatto i primi calcoli.

IL CORONAVISRUS CONTAGIA IL PIL CINESE

Il fatto è che il coronavirus potrebbe costare a Pechino fino a 1,2 punti di Pil secondo Standard&Poor’s. Brutta notizia per un’economia che a fine 2019 registrava il tasso di crescita più basso dal 1990 (6,1%). Certo, per tirare le somme sulle conseguenze finanziarie ed economiche dell’emergenza sanitaria è ancora presto. Ma gli auspici non sono buoni. Pochi giorni fa Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario internazionale, ha dichiarato che il coronavirus è comunque “uno dei non pochi rischi di ribasso” negli scenari dell’Fmi, che stima la crescita globale al 3,3 per cento nel 2020.

Si è invece spinto oltre Shaun Roache, capo economista di Standard&Poor’s per l’Asia-Pacifico l’esperto ipotizza un impatto del 10 per cento sulle spese in trasporti e divertimento da parte dei consumatori cinesi, nel prossimo periodo. E non è certo un caso che sui listini internazionali stiano boccheggiando i marchi del lusso, come Lmvh e Kering.

L’OMBRA DELLA SARS

C’è chi vede sulla nuova emergenza sanitaria, l’ombra della Sars, il virus che 15 anni fa gettò il mondo nel panico, ammaccando e non poco l’economia del Dragone. Il China Center for Economic Research dell’Università di Pechino stimò allora in 25,3 miliardi di dollari il costo della Sars sul Pil cinese nell’anno precedente, e un tasso di crescita rallentato di uno o due punti percentuali (e dello 0,5% nell’intero-Sud est asiatico). Nel Paese con più turisti domestici e internazionali al mondo, il numero di ospiti degli hotel andò a picco. Secondo un altro studio, l’indotto apportato dai visitatori stranieri crollò del 50-60%.

TRA DISNEYLAND E LE ASSICURAZIONI

Tornando ai giorni d’oggi, a simboleggiare una situazione di crisi è la chiusura del Disney Resort di Shanghai, parco di divertimenti che accoglie ogni anno quasi 12 milioni visitatori, mentre le autorità di Macao hanno ventilato una prossima chiusura di alcuni casinò. E l’epicentro di Wuhan rappresenta un campanello di allarme anche per il settore delle assicurazioni, settore tradizionalmente più esposto alle calamità. Pochi giorni fa, da Davos, il ceo di Axa, tra le major mondiali delle assicurazioni ha dato una lettura dell’emergenza: “Ci accorgiamo all’improvviso di situazioni di emergenza e poi ce ne dimentichiamo. L’emergere di misteriosi focolai infettivi potrebbe diventare una nuova normalità”.


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