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Dazi, perché tra Cina e Usa non ha (ancora) vinto nessuno. Parla Barba Navaretti

Per essere una tregua, lo è. Ma chi ha vinto? E chi ha perso? Ammesso che ci siano vincitori e vinti. Ieri la guerra commerciale tra Usa e Cina, dopo quasi due anni di corpo a corpo a suon di dazi sui beni importati, ha registrato la sua prima tregua, grazie alla firma di un accordo che il presidente Donald Trump ha più volte definito, Fase 1. Nella sostanza, l’intesa prevede che Pechino acquisti ulteriori 200 miliardi di dollari di prodotti e servizi americani, impegnandosi anche a non lanciarsi in svalutazioni valutarie. Inoltre, a partire dall’1 aprile la Cina consentirà il pieno controllo da parte di società finanziarie straniere. Il Capo della Casa Bianca ha giustamente esultato per un accordo che non era certo scontato. Ma ci sono domande di fondo a cui occorre trovare una risposta. Per esempio, se Pechino e Washington depongono, per il momento, le armi, in Europa c’è da stare tranquilli? Formiche.net ha chiesto un parere a Giorgio Barba Navaretti, economista e docente alla Cattolica di Milano.

Navaretti, partiamo con una domanda a bruciapelo. Chi vince e chi perde con l’accordo Usa-Cina?

Nessuno, non ha vinto proprio nessuno. Siamo dinnanzi a un risultato che nei fatti fa guadagnare ambo le parti. L’accordo è semmai molto, ma molto sottile…

Sottile?

Sì, nel senso che non risolve i veri problemi non sono stati risolti. Per esempio gli Stati Uniti manterranno tariffe piuttosto elevate nei confronti della Cina e da parte sua Pechino non ha fatto promesse o assunto impegni sul ruolo dello Stato e sull’intervento pubblico nell’economia. Ancora, mancano impegni precisi della Cina sulla tecnolgia. Il punto è che, nonostante l’accordo, nessuno dei due Paesi ha fatto passi indietro importanti.

Ma un’intesa era comunque necessaria o se ne poteva fare a meno?

Il risultato raggiunto da Stati Uniti e Cina non va in profondità. Detto questo, certamente era necessario raggiungere questo piccolo traguardo, se non altro è stato fermato un meccanismo basato sulle ritorsioni, il che sarebbe stato molto costoso per i due Paesi. C’era bisogno di una via d’uscita, ed è stata trovata. Ma temo che dovremo aspettare e capire bene che succederà nel futuro. Di sicuro abbiamo compreso un principio importante: una guerra commerciale non conviene, a nessuno.

Navaretti, Cina e Usa si sono accordate. Non è che ora finisce nel mirino l’Europa? Si parla di nuovi dazi su 3 miliardi di prodotti…

Io non credo che gli Usa se la prenderanno ancora di più con l’Europa. Per l’America è già stato costoso innescare una guerra commerciale con la Cina, lo sarebbe ancor di più con l’Europa. Credo che non ci sarà una guerra commerciale con l’Europa, molto più verosimilmente andremo incontro a qualche aggiustamento commerciale, ma è impensabile una guerra Usa-Europa.

Alle brutte il nostro Continente poi, avrebbe la sponda giapponese, visto il recente accordo di libero mercato tra le due economie…

Il problema della politica di Trump è che, come dicono gli inglesi è adversarial in qualche modo lui vede tutti quanti non come dei partner commerciali, ma come appunto degli avversari. Il problema è questo, la sponda giapponese nell’ottica di uno scontro Usa-Ue non vedo come possa aiutare quest’ultima.

Lei crede che la guerra commerciale alla quale abbiamo assistito in questi mesi abbia finito per riscrivere le regole del commercio mondiale?

Sì, ma purtroppo in senso negativo e questo perché l’approccio americano è strettamente bilaterale, Usa verso Cina e Usa verso Europa e questo è contrario ai principi del Wto. Anche l’accordo con la Cina dice molto: il fatto che debbano comprare 200 miliardi di beni americani è nei fatti qualcosa di discriminatorio. Mettiamo che il Giappone faccia meglio i beni che la Cina deve comprare dagli Stati Uniti, in una logica di libero mercato dovrebbe comprarli dal Giappone e non dall’America… E poi non dimentichiamoci l’atteggiamento degli Stati Uniti verso il Wto, bloccato e impossibilitato a operare dalla stessa Casa Bianca, alla quale spettano due nomine di giudici.

Lasciamo i dazi, parliamo di aziende. Pochi giorni fa il Copasir ha lanciato un allarme sulla possibile scalabilità delle nostre aziende strategiche da parte di grossi investitori, cinesi, francesi… Lei che dice?

Dico che l’Italia ha un problema di scala delle imprese, il nostro sistema non è dotato di una scala competitiva globale e senza le giuste dimensioni si può essere più esposti. In più ci si mette il fatto che parliamo di aziende di grandi qualità, ma con le spalle piccole e dunque possono finire preda. Questo però non è sempre e necessariamente negativo, perché chi investe nelle nostre aziende magari a volte le migliora. Certo se le comprano per smantellarle allora è un altro discorso.

Il fatto è che si parla di asset strategici.Generali… Ma non solo…

Il nostro sistema di imprese deve porsi una domanda: come fare in un libero mercato a mantenere il controllo delle imprese nazionali? Non è così facile, ovvio. Non basta dire ‘Ah, ecco ci stanno scalando i nostri gruppi’. Bisogna rispondere a quella domanda.

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