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Luigi Di Maio si dimette da capo politico del M5S (pare). Ecco perché

Vedremo nelle prossime ore cosa accadrà davvero, ma quel che è certo è che si fanno insistenti le voci di Luigi Di Maio deciso a lasciare la guida del M5S prima del voto di domenica (se accadrà dovremo riconoscere ai giornalisti de Il Fatto Quotidiano di averlo scritto per primi con chiarezza).

Una decisione sofferta ma forse inevitabile, comunque un accadimento destinato ad incidere non poco sull’agenda politica dei prossimi mesi.

Ciò è vero per almeno tre motivi.

Primo: imporrà al Movimento una riflessione articolata sul proprio ruolo al governo, che non potrà che essere interpretato in modo diverso (ne è prova anche il fatto che proprio stasera 12 consiglieri su 26 hanno votato contro le scelte del sindaco Raggi sul sito per lo smaltimento dei rifiuti a Roma).

Secondo: dovrà essere affrontata assai diversamente la dimensione strategica dell’alleanza con il Pd, perché tanto la versione andata in scena in Umbria quanto la “separazione” calabrese ed emiliana paiono escamotage di corto respiro.

Terzo: sarà interessante osservare le mosse del premier, destinato a diventare ancor di più punto di riferimento di molti membri del Parlamento.

Quanto a Di Maio (se verrà confermata nei fatti l’intenzione di lasciare), dobbiamo guardare con realismo alla sua decisione.

Egli è stato protagonista di un risultato straordinario alle scorse elezioni politiche, perché quel 32,7 del 2018 non è roba da poco.

Poi ha preteso di fare troppo, mescolando la guida di un Movimento difficilissimo da gestire (anche per la sua poco chiara catena di comando) con incarichi ministeriali gravosi e multipli.

Insomma se l’è un po’ cercata, a volerla dire tutta.

Però vale anche per lui una vecchia legge che Cossiga ha insegnato a tutti noi tanti anni fa: dimettersi è l’unico modo per (provare a) risorgere.



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