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4 certezze (tra tanti dubbi) in Emilia-Romagna. L’analisi di Arditti

Quanti destini si incrociano nelle urne in Emilia-Romagna: le ambizioni di rivalsa di Salvini, la resistenza di Zingaretti, i fragili equilibrismi di Conte e Di Maio e la sorte dei due candidati che su questa campagna elettorale hanno investito tutto il loro futuro politico.

Ma, tra tanti punti interrogativi sull’esito e sulle conseguenze del voto, ci sono almeno quattro certezze e a mostrarcele è una rilevazione di SWG (l’ultima che precede il tradizionale silenzio dei sondaggi).

La prima certezza è che, a due settimane dal voto, non c’è ancora un vincitore. Too close to call direbbero gli anglosassoni, con un vantaggio “millimetrico” di Bonaccini (45-49%) tallonato dalla Borgonzoni (43-47%). La partita quindi è ancora tutta aperta e da qui al 26 gennaio può ancora succedere di tutto.

La seconda certezza è che l’Emilia-Romagna non è più rossa. Un’affermazione che non ha bisogno di essere suffragata da una eventuale sconfitta del Partito Democratico. Comunque vada, sono finiti i tempi in cui la mappa dei consensi si tingeva tutta di color porpora, quelli in cui la sinistra non aveva neppure bisogno di fare campagna elettorale e la maggioranza bulgara era garantita semplicemente dal richiamo identitario del simbolo sulla scheda.

scheda 01
Se dunque i sondaggi non incoronano in anticipo un governatore, tuttavia uno sconfitto già esiste ed è il Movimento Cinque Stelle con la sua strategia (harakiri sarebbe più adatto) di correre in solitaria.

Il candidato dei pentastellati è attestato tra il 4 e il 6%.

A prescindere dall’esito per l’M5S sarà un disastro: se dovesse vincere il centrodestra, il Pd li accuserà di essere stati tra i principali responsabili della più grande disfatta nella storia della sinistra italiana. Se invece Bonaccini riuscirà ad essere riconfermato, i Dem potranno dire di avercela fatta da soli con buona pace dell’ignavia del loro alleato di governo.

Una classica situazione lose-lose.

In sostanza, accade quanto segue: il Movimento di Grillo e Di Maio è riuscito a spezzare le catene del bipolarismo ma ciò è stato vero per una breve stagione (2016-2018).

Adesso invece il bipolarismo è tornato e i Cinque Stelle non solo non hanno più la forza di infrangerlo ma non riescono neppure a scegliere da che parte stare.

scheda 2

Infine, c’è una quarta certezza ed è la prova lampante che nella politica di oggi sono sempre di più le persone a fare la differenza.

Se infatti invece di guardare il voto ai candidati presidenti, si prende in considerazione quello ai partiti ecco che il lieve vantaggio di Bonaccini si ribalta (45-49% centrodestra, 42,5-46,5% centrosinistra).

Detto più semplicemente: il Presidente in carica è più popolare della coalizione che lo sostiene mentre la Borgonzoni beneficia dello stato di buona salute del centrodestra italiano (in particolare del duo sovranista Salvini-Meloni).

Un’evidenza che trova una conferma nei 10 punti di vantaggio della lista civica che porta il nome del governatore uscente rispetto a quella analoga della sua sfidante.

Si spiega così la decisione di Bonaccini di essere l’unico front runner a metterci la faccia tenendo a debita distanza le “intrusioni” dei dirigenti nazionali. Una scelta ben lontana dalla fotografia governativa di Narni che ha preceduto la debacle giallorossa in Umbria.

scheda 3

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