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Erdogan e Putin insieme per il Turkish Stream ma distanti su Libia, Siria e Iraq

Oggi si celebra il Natale Ortodosso, ma per il presidente russo, Vladimir Putin, si tratta di vacanze natalizie particolarmente impegnative. Non solo, oggi ha fatto una visita inaspettata a Bashar al-Assad a Damasco.

Domani lo attende una giornata in Turchia, che avrebbe dovuto essere una giornata di festa e traguardi raggiunti, ma in realtà si è trasformata in una missione molto delicata, vista la complessa situazione che si sta venendo a delineare nel Mediterraneo e in Medio Oriente e il fatto che i due alleati sono divisi su tutti e tre i capitoli più importanti: Siria, Libia, e Iraq.

È ancora presto per parlare di crisi fra Ankara e Mosca, un deterioramento dei rapporti non conviene a nessuna delle due. Ma nella visita di domani c’è comunque qualcosa che non va. La motivazione ufficiale dell’arrivo di Putin, che verrà accompagnato dai ministri dell’Energia e degli Esteri, è l’inaugurazione del Turkish Stream, che porterà il gas russo in Europa e che permetterà ad Ankara di acquistare l’oro blu a un prezzo agevolato, attenuando, almeno in parte, il carico economico della Mezzaluna, che ogni anno spende circa 20 miliardi di dollari in importazioni energetiche.

A Istanbul è tutto pronto. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto addirittura preparare un libro speciale con oltre 100mila documenti risalenti al periodo ottomano e che raccontano le relazioni fra impero russo-Russia e impero ottomano-Turchia negli ultimi duecento anni.

Le buone notizie sono finite qui. Il programma infatti non prevede una conferenza stampa congiunta dei due leader ma solo due speech ufficiali all’inaugurazione del gasdotto.

Anche il colloquio fra Erdogan e Putin non compare in programma ma fonti turche interpellate da Formiche.net hanno confermato che avverrà prima della cerimonia di inaugurazione del Turkish Stream, ma non solo sarà chiuso alla stampa, non è prevista nemmeno una conferenza a margine. Off limits per i giornalisti anche la cena di gala che si terrà al palazzo di Dolmabahce, sul Bosforo.

In effetti, motivi per non rispondere alle domande, Erdogan e Putin, ne hanno più di uno. Se davanti alle telecamere la loro alleanza sembra inscalfibile e dal punto di vista della mutua convenienza lo è sicuramente, dall’altra, sull’agenda internazionale, non c’è un tema sul quale concordino e, al contrario, le loro posizioni e interessi confliggono in maniera palese.

Sulla Siria la questione si trascina ormai da anni e la Turchia è stanca di vedere le sue richieste non soddisfatte. Erdogan ha dovuto accettare di vedere Bashar al-Assad rimanere al potere, ma premere perché nella Siria di domani i curdi non vengano riconosciuti al tavolo dei negoziati e soprattutto perché i bombardamenti russi e di Damasco cessino nella zona di Idlib. Nemmeno la luce verde data da Mosca all’operazione Sorgente di pace nel nord della Siria ha placato le richieste di Ankara, che adesso vuole più impegno da Mosca per l’attuazione di un cessate il fuoco permanente e perché venga scongiurata un’altra ondata migratoria verso i confini della Turchia.

Strettamente collegate alla crisi siriana e pure a quella irachena e quella libica. Ankara, a differenza di Mosca, ha espresso molto meno dissenso per la morte di Qassam Soilemani rispetto a Mosca, per la quale il generale iraniano era un uomo chiave per gli equilibri della Siria, soprattutto quelli militari. Per la Turchia, invece, anche se non rivelato ufficialmente, non si è trattato di una grande perdita in quanto grande sostenitore di Bashar al Assad e come se non bastasse anche opposto ad Ankara sui nuovi equilibri della Siria.

In ultimo, c’è il capitolo libico e questo rischia di fare irritare Mosca in modo considerevole. Fino a due mesi fa le due potenze erano dalla stessa parte, ossia quella del generale Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi. Il 27 novembre scorso, con un voltafaccia clamoroso, la Turchia è passata dalla parte del governo di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj. L’ennesima dimostrazione che Erdogan vuole andare avanti in maniera autonoma con la politica estera del suo Paese, ma questo ruolo da battitore libero che si sta ritagliando rischia di infastidire molti. Per prima la Russia, che sulla Libia, ha detto più volte di non voler ricorrere a una soluzione militare.

Sul tavolo dei due, poi, c’è anche la questione della possibile fornitura di altre batterie di missili, che verrebbero parzialmente costruite in Turchia e di caccia militari. Ankara ha reso noto di stare vagliando le proposte provenienti da Russia, Stati Uniti (che potrebbero offrire nuovamente i patriot) e altri due Paesi. La scelta della Turchia sarà determinante anche per i prossimi assetti del Paese in politica estera. Scegliere Mosca la metterebbe di traverso agli Usa in un momento in cui Trump sembra guardare con più favore all’alleato turco e aver messo da parte l’ipotesi di sanzioni. Propendere per le proposte di Washington, al contrario, vorrebbe dire aumentare il sospetto da parte di Mosca.



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