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Ecco la strategia di Erdogan in Libia. L’analisi di Marta Ottaviani

Quello che è apparso ieri sera in televisione è un Erdogan visibilmente stanco e affaticato, ma non per questo meno determinato a fare valere quelli che ritiene essere i diritti della Turchia davanti alla comunità internazionale. In un’intervista a tutto campo in diretta televisiva il presidente ha parlato di quello che sarà il Mediterraneo del futuro e ha voluto iniziare dall’accordo firmato il 27 novembre scorso con Fayez al-Serraj, il capo del governo di conciliazione nazionale di Tripoli, con il quale Erdogan ha clamorosamente voltato le spalle all’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar.

A questo proposito Erdogan ha detto che l’accordo firmato a novembre era stato pensato già dai tempi di Muammar Gheddafi, nell’interesse dei due Paesi. Un particolare con il quale il capo di Stato ha cercato di togliersi di dosso le accuse di volta gabbana. Successivamente e questa è una delle parti più interessanti dell’intervista, Erdogan ha parlato del corridoio marittimo fra Libia e Turchia, spiegando come i due Paesi abbiano deciso di dividersi le zone da esplorare alla ricerca dei giacimenti di riserve naturali che fanno gola a tutti le altre nazioni che si affacciano sul bacino.

Erdogan ha detto chiaramente che quelle acque appartengono alla Turchia e alla Libia “senza ombra di dubbio”, ha anche sottolineato che le esplorazioni saranno aperte ad altri Paesi. Un modo per non irritare la comunità internazionale, ma soprattutto per fare passare in secondo piano l’irritazione della Grecia e di Cipro, alle quali quelle acque appartengono per legge.

“Il piano di Grecia e Cipro di imprigionare la Turchia nel Mediterraneo è fallito”, ha detto Erdogan, che ha aggiunto ‘tutti devono sapere che la Turchia non accetterà mai di essere esclusa da quello che riguarda i futuri assetti del Mediterraneo”.

Il presidente ha poi parlato dell’invio dei soldati di Ankara nel Paese nordafricano. “Non vanno lì a combattere, ma a coordinare. Il nostro piano e creare un centro di coordinamento dove metteremo un nostro generale che potrà sovrintendere a tutte le operazioni”. Un invio lento, ma progressivo, con la Mezzaluna che, però, non sembra intenzionata tanto a partecipare ai combattimenti, quanto a presidiare un territorio che potrebbe essere molto presto oggetto di dispute.

Un Erdogan combattivo che però quando si inizia a parlare di Iraq vira a 180° e sembra voler fare prevalere la ricerca di un compromesso a tutti i costi. “La Turchia si è sempre dichiarata contraria all’intervento straniero e pensa la stessa cosa dell’attacco americano a Baghdad – ha detto – Ho parlato con Trump poche ore dopo l’attentato e gli ho detto di non alzare la tensione con l’Iran”.

I timori del presidente sono quelli di un possibile conflitto che crei una nuova ondata migratoria verso la Turchia, che già ospita oltre tre milioni di rifugiati siriani, con tutte le conseguenze dal punto di vista economico e sociale. Sulla Siria, Erdogan ha voluto sottolineare che, dopodomani, con Putin, cercherà un nuovo accordo sul cessate il fuoco a Idlib.

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