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Fincantieri, Stx e le regole europee che non funzionano

Di fronte alla concorrenza dei colossi asiatici, l’Europa rischia di rimanere schiacciata delle sue stesse regole. Lo dimostra il caso Fincantieri-Chantiers de l’Atlantique, con un iter di acquisizione da parte del gruppo italiano che sembra non avere fine, a quasi tre anni dalla prima sigla per rilevare dalla proprietà sudcoreana i cantieri della ex Stx. Oggi Repubblica rivela che la Commissione europea ha inviato lo scorso dicembre le conclusioni preliminari dell’indagine approfondita che la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ha deciso di avviare a ottobre. L’operazione sarebbe incompatibile con le regole del mercato interno. La vicenda è nota, e la notizia non chiude il dossier, inserendosi nella naturale interlocuzione per le verifiche europee. Fincantieri ha infatti ancora tempo per presentare risposta ai dubbi dell’antitrust di Bruxelles, in attesa di una decisione finale che dovrebbe arrivare ad aprile (ci sarebbe stata una dilazione di un mese).

UN PERCORSO LUNGO

La Commissione europea ha accettato di aprire il dossier a gennaio dello scorso anno su richiesta di Berlino e Parigi. Dato l’interesse europeo e degli stessi francesi sull’operazione (quantomeno nelle dichiarazioni formali), la richiesta allora sorprese l’Italia, che ha comunque reagito in maniera piuttosto compatta, con maggioranza e opposizioni, Parlamento e governo, a chiedere “rispetto per le aziende italiane”, soprattutto in considerazione di un progetto che procede verso l’integrazione europea sbandierata da più parti. Ma d’altra parte sulla vicenda dei Chantiers de l’Atlantique i colpi di scena non sono mancati.

Tutto è iniziato a maggio 2016, quando la gestione di Stx France viene affidata al tribunale fallimentare di Seul, essendo allora il 66% dell’azienda in mano ai sudcoreani. Nel giro di pochi mesi parte la vendita, e alla fine dell’anno l’unica offerta pervenuta è quella del gruppo italiano. A maggio 2017 arriva l’accordo tra Fincantieri e il governo francese, che conserva il diritto di prelazione sulla maggioranza dei cantieri da esercitare entro la fine del luglio successivo.

IL COLPO DI MACRON

Nel frattempo all’Eliseo era però arrivato Emmanuel Macron. A due giorni dalla scadenza del diritto di prelazione, il ministro delle Finanze Bruno Le Maire annuncia la decisione di nazionalizzare Stx, in barba al precedente accordo. Si susseguono incontri tra i rappresentanti di governo, fino a settembre 2017, quando a Lione Macron e l’allora premier Paolo Gentiloni raggiungono l’intesa sulla struttura dell’azionariato della società: il riscatto del 50% da parte dell’azienda italiana, con l’aggiunta del prestito di un ulteriore 1% concesso dallo Stato francese per dodici anni, previo via libera delle autorità antitrust. È seguita la richiesta di Parigi e Berlino alla Commissione europea per esaminare il dossier alla luce del regolamento sulle concentrazioni. Ora si attendono le fasi conclusive dell’indagine. Come racconta Repubblica, Fincantieri avrà tempo fino alla fine di gennaio per rispondere ai dubbi della Commissione presentando nuove argomentazioni.

QUALE CONCORRENZA EUROPEA?

Il punto dirimente riguarda le complesse regole europee sulla concorrenza. Da tempo è in corso il dibattito sulla loro revisione, rilanciata di recente da Thierry Breton, neo commissario (francese) per il Mercato interno, e dalla stessa collega olandese Vestager, riconfermata alla concorrenza nella commissione Ursula von der Leyen. Sul Sole 24 Ore di oggi, il professor Fabrizio Onida dell’Università Bocconi propone “un antitrust meno interventista per competere sui mercati globali”. Occorre tenere conto, scrive, “che l’Europa intera è sempre più esposta ai rischi di un’aggressiva concorrenza esterna”, in settori “dove la dimensione aziendale e le economie di scala e di scopo possono essere decisive nel condizionare gli esiti del gioco competitivo globale”. Segue la proposta per i casi di operazioni incerte sul rischio di abusi: vi sia l’approvazione alle concentrazioni da parte della Commissione europea, che conservi però la possibilità di monitorare “a scadenza ravvicinata l’effettiva evoluzione dei mercati e gli eventuali abusi da potere dominante”.

Come notava tempo fa Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), “il mercato cantieristico è fortemente internazionalizzato e, quindi, la competizione non può essere misurata su scala europea, bensì internazionale”. Inoltre, aggiungeva, “ci sono dei settori o dei segmenti in cui l’esigenza di raggiungere determinate economie di scala o la complessità dei sistemi da realizzare impongono la concentrazione industriale”.

COSA SUCCEDE NEL MONDO

Il punto è che le regole attuali sembrano non tenere conto della crescente concorrenza extra-europea, restando rigidamente vincolate a evitare concentrazioni sul mercato interno. Eppure, le aziende del Vecchio continente già si confrontano con colossi stranieri ben più attrezzati, soprattutto asiatici. Lo scorso novembre in Giappone è arrivato il piano per fondere i due campioni nazionali della cantieristica navale, Imabari Shipbuilding e Japan Marine United (JMU). L’obiettivo? Essere più competitivi. Il mese precedente era d’altra parte arrivato il via libera del governo di Pechino sulla fusione tra i due colossi cinesi, China State Shipbuilding Corporation (CSSC) e China Shipbuilding Industry Corporation (CSIC), per far nascere il più grande gruppo del settore al mondo. È considerata la risposta alla Corea del Sud, dove Hyundai Heavy Industries ha deciso di acquisire Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering. Insomma, l’Europa rischia di restare spettatrice se non ammette la creazione di campioni continentali.

IL LATO MILITARE

Il concetto sembra essere passato per quanto riguarda il campo della Difesa, dove la Commissione invoca da tempo una maggiore integrazione industriale. Lo dimostra tra l’altro proprio Fincantieri. A settembre 2017, oltre all’intesa su Stx, i governi di Francia e Italia parlarono anche di collaborazione in ambito militare, tracciando la strada per una progressiva alleanza tra il Gruppo italiano e Naval Group. Un anno dopo, durante il salone EuroNaval di Parigi, le ministre della Difesa annunciavano il pieno sostegno dei rispettivi esecutivi all’accordo raggiunto dalle due società per una joint venture paritetica. I dettagli sono arrivati nel giugno successivo nell’arsenale di La Spezia, con la firma sull’Alliance cooperation agreement. È seguito a ottobre il disvelamento del nome: Naviris. Poi, la scorsa settimana, la piena operatività del nuovo soggetto con il primo Consiglio d’amministrazione affidato, nella presidenza, a Giuseppe Bono.

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