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Fra Usa e Iran c’è il terzetto europeo (UK, Francia e Germania). E l’Italia…

“C’è ora un urgente bisogno di de-escalation. Chiediamo a tutte le parti di esercitare la massima moderazione e responsabilità. L’attuale ciclo di violenza in Iraq deve essere fermato”, Francia, Germania e Regno Unito emettono un comunicato congiunto sulla situazione tra Stati Uniti e Iran, che segue il raid aereo americano con cui è stato ucciso il generale Qassem Soleimani.

Una posizione intermedia, che non condanna troppo seccamente la politica con cui l’Iran si diffonde in Medio Oriente attraverso il sostentamento di milizie collegate — un progetto ideato e curato dallo stesso Soleimani — e non si appiattisce sulla linea spinta della Casa Bianca. D’altronde, su quest’ultimo aspetto, era stato lo stesso segretario di Stato Usa, Mike Pompeo — che ha seguito il follow up diplomatico dopo il raid — a lamentarsi di un atteggiamento troppo freddo ricevuto dagli amici europei.

Francia, Germania e Regno Unito sono stati contattati per primi dopo l’attacco per gestire insieme la situazione e ne hanno condiviso le preoccupazioni. Ma mentre Londra aveva dimostrato maggiore vicinanza, anche per la necessità di costruire una nuova stagione della Special Relationship (dimostrata già quest’estate, con l’impegno congiunto per la sicurezza del Golfo Persico), Parigi e Berlino hanno diffuso dichiarazioni laterali anche critiche.

Probabile che questo genere di simil-equidistanza sia un estremo tentativo di salvare l’accordo sul nucleare Jcpoa, di cui francesi e tedeschi sono co-firmatari (e per questo, insieme agli inglesi cercati subito dagli Usa) e su cui l’Eliseo ha sfruttato gli spazi lasciati vuoti dall’uscita statunitense per cercare di giocare un ruolo da player internazionale.

L’intesa è in crisi totale però, per non dire morta, dopo che gli iraniani hanno comunicato ieri l’intenzione di procedere con la fase finale dell’uscita dai paletti. È una violazione nel limite del consentito, reversibile, ma è l’ultimo step prime dell’abbandono totale. Mentre gli americani è dal ritiro unilaterale del maggio 2018 che non considerano più l’accordo come un terreno di contatto diretto con Teheran.

La linea europea mira a mantenere le cose più in ordine possibile e conferma una posizione già assunta quest’estate, quando davanti alle provocazioni con impronta iraniani lungo il Golfo, avevano glissato davanti alla proposta di Washington di creare una missione di sicurezza congiunta. Bruxelles preferiva andare da sola perché allinearsi troppo con gli Usa rischiava di essere vista come una mossa troppa aggressiva.

La traiettoria — seppure in un clima di dibattito approssimativo, provinciale e poco consistente, dove la vicenda “non ha scosso più di tanto la nostra politica”, come scrive il notista Stefano Folli — è apparentemente seguita anche dall’Italia. Roma partecipa alle missioni internazionali che toccano le relazioni con l’Iran più da vicino, per esempio quella di counter-terrorism in Iraq e quella Onu in Libano, ma gli Stati Uniti non hanno ancora tenuto contatti diplomatici con il governo italiano dopo il raid — sebbene il giro delle consultazioni sia stato ampio.

Tuttavia il governo Conte s’è espresso con una posizione chiara presa dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, su uno dei temi più caldi, la presenza in Iraq di forze straniere (gli italiani sono un migliaio, inglobati nella Coalizione internazionale anti-Is a guida Usa) che il governo di Baghdad vorrebbe interrompere su impulso del parlamento. Una questione che ha valore più politico che tecnico, e tocca gli aspetti di sicurezza della lotta al terrorismo. Guerini ha detto: “Per quanto riguarda la missione in Iraq sarà la Coalizione, con tutti i suoi componenti, a determinarne gli sviluppi, nel quadro dei contatti sempre frequenti fra gli Stati Maggiori della Difesa dei Paesi Membri”.

 

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