Come sulla digital tax, anche sul commercio con la Cina i Paesi membri dell’Unione europea si muovono in ordine sparso. Se dopo le rassicurazioni francesi all’amministrazione statunitense sull’imposta ai colossi del web Washington ha messo nel mirino Italia e Regno Unito (l’abbiamo raccontato ieri), anche sugli scambi tra il Vecchio continente e il Dragone manca un coordinamento a livello comunitario. A dimostrarlo sono i colloqui telefonici di ieri della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese Emmanuel Macron con il leader cinese Xi Jinping.
Il presidente cinese Xi ha cercato di rassicurare i due leader europei sul fatto che l’intesa commerciale raggiunta tra Pechino e Washington non avrà ripercussioni sulle aziende europee. Ma ha anche fatto pressioni chiedendo un “trattamento equo” per le aziende cinesi che operano nell’Unione europea, stando alle note diffuse. Il riferimento? Al 5G, ovviamente, tema su cui a breve i Paesi europei saranno chiamati a esprimersi, aprendo o meno le loro infrastrutture all’ingresso di Huawei, il colosso cinese contro cui gli Stati Uniti hanno lanciato una pesante campagna sottolineando i legami del gruppo con il regime cinese.
La cancelliera Merkel ha garantito al presidente Xi che la Germania “tratterà le aziende di tutti i Paesi, compresa la Cina, in modo equo”. Più esplicito il presidente francese Macron che, stando a quanto riporta l’agenzia cinese Xinhua, ha fatto riferimento diretto al 5G spiegando che la Francia “non adotterà alcuna politica discriminatoria contro Paesi o aziende”. Il capo dell’Eliseo ha anche sottolineato la volontà di aumentare la cooperazione auspicando una sua nuova visita in Cina nei prossimi tempi.
Ma quanto dichiarato dal presidente Macron sembra essere in netto contrasto con quanto sostenuto dal commissario europeo Thierry Breton, francese scelto proprio dal capo dell’Eliseo a capo del Mercato interno. Secondo Breton affidare la costruzione delle infrastrutture 5G ad aziende europee non causerebbe ritardi – diversamente da quanto sostenuto, o forse per meglio dire minacciato, da Huawei.
Alcuni giorni fa su Formiche.net abbiamo raccontato il report pubblicato dalla Camera di Commercio dell’Unione europea in Cina intitolato The Road Less Travelled. Due i risultati fondamentali dell’indagine indagine condotta su 132 imprese. Primo: le aziende europee hanno un ruolo marginale nella Via della seta. Secondo: la concorrenza europea è schiacciata dalle imprese cinesi di proprietà statale. Ma il documento evidenza anche un problema a livello europeo: Pechino si muove a suon di accordi bilaterali con i 17 Paesi europei nel formato 17+1. Come risolvere questo problema? “Dato che ciò rispetta la politica One-China, nei numerosi settori in cui l’Unione europea ha competenza sugli Stati membri, la Cina dovrebbe ricambiare e adottare una politica One-Eu, piuttosto che cercare di dividere l’Ue attraverso accordi bilaterali”, si legge nel rapporto.
Spesso si parla di un asse franco-tedesco che traina l’Europa. In realtà, Parigi e Berlino sembrano muoversi in maniera indipendente, quantomeno quando si tratta di fare affari con la Cina. Infatti, la strada dei bilaterali sembra essere anche quella preferita dalla cancelliera Merkel che al presidente Xi ha detto che “la cooperazione tra i Paesi dell’Europa centrale e orientale e la Cina è parte integrante della cooperazione Cina-Europa”.
In pratica, Merkel ha cercato di mettere in mostra il formato 17+1, quello che permette alla Cina grandi affari giocando sulle frammentazioni europee, come documentato nel report della Camera di Commercio dell’Unione europea in Cina. Una sottolineatura, quella della cancelliera, che non piacerà non soltanto agli Stati Uniti ma anche a quei Paesi membri dell’Unione europea che temono possa rappresentare un’incoraggiamento alle ambizioni cinesi.