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La Cina s’avvicina e Pence sbarca a Roma

Di Emanuele Rossi e Gabriele Carrer

Il 24 gennaio il vicepresidente americano, Mike Pence, sarà in Italia per un appuntamento in Vaticano e con esponenti del governo. L’obiettivo dei colloqui sarà riaffermare l’unione tra Washington e Roma su dossier strategici, e su tutti c’è il confronto con la Cina (o meglio, la linea anti-Cina, argomento delicato per il governo giallorosso).

Poi la cooperazione militare. Agli americani interessano le basi sul suolo italiano, ma anche gli impegni come quello in Iraq, riconfermato nelle ore caldissime post-raid contro Qassem Soleimani, e lungo il Golfo Persico.

Pence arriverà a Roma tornando da Israele, dove sarà presente alle cerimonie per i 75 anni dalla liberazione di Auschwitz. Nel quadro dell’allineamento italiano con gli Stati Uniti ci rientra anche la questione iraniana, cuore del dispiegamento militare in Medio Oriente e argomento di certo interesse a Gerusalemme.

Washington ha già chiesto a Roma di scegliere una linea più netta riguardo a Teheran (memo: il caso Mahan Air che ha fatto da test operativo). L’Italia dovrebbe essere della partita, con l’Europa, su Hormuz, la strozzatura del Golfo, fulcro della crisi con l’Iran. Un dispiegamento per la sicurezza marittima annunciato ieri dai francesi, sul quale il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, aveva già spiegato in audizione alle Commissioni Difesa di Camera e Senato la necessità di incrementare la presenza italiana, perché “le acque (di Hormuz) rappresentano un interesse strategico per la nostra economia”.

(Il 27 luglio del 2019 su queste colonne era stato pubblicato un appello al governo perché l’Italia si mostrasse “pronta e aperta al coinvolgimento in certe attività” come quella lungo le acque del Golfo per non finire nell’irrilevanza: ancora una volta, il motore delle relazioni internazionali di Roma si dimostra il settore della Difesa).

Sul tavolo della visita romana del vicepresidente c’è anche l’argomento che riguarda le intese commerciali. Stretti gli accordi sul commercio con Cina, Messico e Canada – di cui Donald Trump s’è vantato nel keynote speech di Davos – ora la palla passa all’Europa, e il primo argomento sul tavolo è la Digital Tax. L’imposta applicata ai giganti Usa del mondo tecnologico è stata promossa a livello comunitario da Emmanuel Macron, che però ieri ha frenato – ottenendo in cambio da Trump la revisione del potenziale aumento dei dazi contro la Francia, almeno per il 2020.

Ora tocca a Italia e Regno Unito, come ha detto Steven Mnuchin, altrimenti subiranno dazi, ha spiegato il segretario al Tesoro statunitense parlando, da Davos, al Wall Street Journal. Londra ha necessità di costruire, in fase Brexit, una nuova Special Relationship con Washington, e dunque è facile che risponderà alla chiamata. Roma ha già occasione per chiarire la propria posizione con Pence.

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