La Nato c’è e decide (anche sull’Iran). Secondo Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, l’alleanza che da 70 anni garantisce pace ed equilibri, nel Consiglio di ieri sul dossier iraniano ha indicato una via, che si ritrova nell’appello alla moderazione lanciato dal segretario generale Stoltenberg. Il nodo verte più sulle politiche disarticolate di alcuni grandi paesi dell’Ue.
L’occidente rischia di perdere l’Iraq in queste concitate fasi della crisi iraniana?
Innanzitutto l’occidente non è più quello della guerra fredda, ma un mondo completamente diverso e a geometrie variabili. C’è la missione Nato in Iraq, la missione contro Daesh e lo Stato Islamico, e poi ci sono gruppi di paesi occidentali che, di volta in volta, esprimono interessi diversi. Quindi l’Iraq non può che essere una presenza con l’approvazione del governo locale che è stato espresso con delle elezioni e non in modo arbitrario. Se dunque il governo deciderà per il ritiro, ritiro ci sarà. Il problema è che questi effetti, immagino, siano stati calcolati prima.
Per questa ragione Stoltenberg ha parlato di “moderazione” in occasione del Consiglio di ieri? Si riferiva alla reazione Usa?
È chiaro che la Nato cerca il consenso: ciò che il segretario generale dice è il consenso raggiunto. Nella migliore tradizione italiana è erga omnes: ciò che preme agli alleati della Nato, e immagino anche agli Stati Uniti, non è arrivare ad una escalation. Se la priorità per la Casa Bianca non è moltiplicare i conflitti ma tirarsene fuori, ecco qui che l’interesse a non inasprire la situazione c’è tutto.
La politica dei droni porta i grembo più vantaggi o svantaggi?
La politica dei droni non è una politica, ma lo strumento di una politica che non può ovviamente impiegare solo un pezzo dell’arsenale “politico e diplomatico”. Un fatto è certo: ogni volta che viene deciso un attacco di droni su un particolare bersaglio ritenuto una minaccia presente, chiara e immediata per interessi vitali degli Usa, investe tout court la catena di autorizzazioni che parte dal basso e arriva sino al massimo livello. Per cui è stata una mossa che gli americani avevano chiara già da tempo ed è stata decisa ai massimi livelli.
Quale il calcolo della convenienza politica?
Alcune delle conseguenze immediate si possono ben immaginare, ad altre di più lungo termine o non ci si pensa oppure è complicato individuarle anche per analisti esperti.
In Siria, Iraq, Libano e Gaza la presenza iraniana targata Soleimani è stata ed è invasiva: come si sposa questo elemento con la crisi post attacco all’ambasciata Usa a Baghdad?
Se dovessimo guardare le cose con gli occhi di un abitante di quelle terre, faremmo prima a vedere chi non è stato invasivo. Il problema è che purtroppo quando i contesti politici sono frammentati dall’interno, e non lo sono per caso ma per scelte endogene con delle basi assolutamente esogene, è facile cercare appoggi all’esterno. Tanto il Nordafrica, quanto il Levante e il Golfo sono luoghi simili all’Italia del Trecento, dove erano in corso vere e proprie guerre civili e dove era molto semplice interpellare uno straniero per farsi dare una mano. Non c’è nulla di nuovo in questo: solo la disabitudine di molti analisti nel considerare la storia nel suo complesso. Abbiamo già sperimentato tale quadro in tutta Europa per almeno un millennio e mezzo, soffrendo moltissimo, come sta accadendo in quelle aree.
Come giudicare l’appello della Nato?
L’appello alla moderazione da parte della Nato non è l’appello vano di certi paesi che non hanno politica: bensì è la constatazione di un’alleanza, che da 70 anni e con un certo successo, esprime la posizione di tutti i suoi membri su un problema molto serio, che naturalmente può sembrare una posizione retorica o molto verbale. Ma non si può dire che la Nato, nei momenti in cui si riunisce e decide, non abbia una politica.
Quale il punto debole allora?
Il fatto che molti paesi europei, tra cui anche di molto importanti, sembrano avere una politica, ma poi nei fatti non ce l’hanno. Ciò crea problemi enormi, per quei paesi e per i contesti internazionali di cui fanno parte.
Il cosiddetto terzetto europeo sull’Iran, composto da Inghilterra, Francia e Germania, dunque potrebbe andare già da subito in ordine sparso?
Sono stupito della lentezza con cui Istex (il meccanismo finanziario volto ad aggirare le sanzioni imposte dagli Stati Uniti) sia stato messo in moto nonostante le dichiarazioni di appoggio fatte da tutti i paesi europei. Se uno strumento come Istex, che non è uno strumento militare ma finanziario, non si mette in moto, è facile poi dopo dire che l’Europa non è credibile. Lo sarà quando i maggiori stati membri saranno capaci di collaborare assieme: qui le note, purtroppo, sono dolentissime. Inoltre a partire dalla fine di gennaio non esisterà più il terzetto europeo, visto che Londra è fuori dall’Ue per decisione dell’elettorato britannico.
Vi sono paesi che riempiranno il vuoto del Regno Unito?
Vediamo come.
Parigi, candidandosi a sostituire gli Usa in Medio Oriente, supererà anche l’Italia come influenze ed equilibri?
Direi che quando si sta fermi è facile essere superati da chiunque. Le scelte di un governo rispondono a moltissime esigenze: certamente questo non è un periodo facile per governare in alcun paese, compresi quelli che passano per essere i più forti. I francesi sono molto attivi e sanno benissimo che se non avessero dietro la logistica americana, molti passaggi non potrebbero essere attuati. Per cui i francesi si chiedano se sono influenti per conto di qualcun altro, oppure no.
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