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Usa vs Iran, è una nuova Guerra Fredda. Intervista a Stephen Walt

Capolavoro diplomatico o bomba in una polveriera? Forse è ancora presto per un giudizio definitivo sull’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani ordinata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Non per Stephen Walt, professore di Relazioni internazionali ad Harvard e capofila della scuola realista.

Walt, la guerra è evitata?

Sicuramente siamo di fronte a una de-escalation temporanea. Oggi né l’Iran né gli Stati Uniti vogliono una guerra aperta. La situazione è però ben lontana dall’essere “stabile”, il governo americano sta ancora cercando di costringere l’Iran alla capitolazione con una serie di richieste ambiziose ma vaghe.

L’Iran si adeguerà?

Per ora è stato costretto a passare all’azione per contrastare la pressione americana, ad esempio riavviando lentamente il suo programma nucleare. Ci sono poi altri attori indipendenti nella regione che cercano di sfruttare la situazione e potrebbero Stati Uniti e Iran sulla via della guerra. Detto questo, la stabilità nella regione è molto più a rischio oggi di quando Trump è diventato presidente e ha stracciato l’accordo sul nucleare.

L’uccisione di Soleimani aumenta o diminuisce la deterrenza verso Teheran? 

Intendiamoci su quale sia il vero obiettivo della deterrenza. Sicuramente nel breve periodo evita l’escalation iraniana, ma è difficile che riesca a impedire a Teheran di continuare a supportare i suoi partner e proxies nella regione. Abbandonare l’accordo sul nucleare, imporre la “massima pressione” e ora uccidere il generale Soleimani ha dato all’Iran un altro incentivo a costruirsi una vera arma nucleare, cosa che finora si è rifiutato di fare. Se succederà non ci sarà deterrenza che tenga.

Che effetti può avere l’eliminazione del generale sulla presenza americana in Medio Oriente nel lungo periodo?

Difficile dirlo. La politica di Trump è stata inconsistente fin dall’inizio. Ha ripetutamente sostenuto di voler portare via dalla regione l’esercito statunitense, e poi ha preso decisioni che hanno costretto il Paese a inviare più truppe. Questa inconsistenza ha costretto altri Stati a domandarsi quale sia oggi la strategia americana, preoccupati che gli Stati Uniti stiano cercando il conflitto piuttosto che limitarlo.

Un pronostico?

Nelle ultime settimane l’Arabia Saudita aveva silenziosamente cercato di abbassare la temperatura dei rapporti con l’Iran. Ora l’uccisione di Soleimani potrebbe portare il governo iracheno a ordinare il ritiro delle truppe americane. La linea di fondo è che oggi l’amministrazione Trump non ha una strategia chiara e coerente per il Medio Oriente.

L’Italia ha più di 900 uomini a Baghdad. Giusto rimanere in Iraq o è opportuno un graduale ritiro della coalizione internazionale contro l’Isis?

L’Isis può prosperare solo in uno spazio instabile dove non esista un effettivo governo. Di qui consegue che una forma di supporto esterno contro l’Isis è probabilmente ancora necessaria, in Iraq ma anche in Siria, dove non c’è ora una soluzione politica stabile.

C’è Bashar al Assad, che è uscito rafforzato dalla guerra.

Purtroppo in questo momento il miglior modo per garantire la stabilità è permettergli di riprendere il controllo nonostante le atrocità e i crimini di guerra che ha commesso. Non è facile accettarlo. In un mondo perfetto Assad e altri come lui sarebbero a processo all’Aja e non al potere a Damasco. Ma non viviamo in un mondo perfetto.

L’Isis è fuori dai giochi?

Non credo che costituisca una minaccia esistenziale, né che abbia la capacità di ristabilire il suo fragile “califfato” anche se le truppe straniere dovessero abbandonare il campo.

Torniamo a Soleimani. Che impatto può avere lo strike sulle presidenziali americane del 2020?

Scarso o nullo, a meno che le cose non peggiorino un’altra volta. Gli americani danno poca importanza alla politica estera quando scelgono un presidente, e per novembre molti avranno dimenticato questo episodio. È stata una distrazione dal procedimento di impeachment, ma i riflettori si riaccenderanno ora che la situazione in Medio Oriente si sta calmando.

Trump ha detto che il Jcpoa (l’accordo sul nucleare iraniano, ndr) è morto. Che opzioni hanno gli Stati europei?

Probabilmente è troppo tardi per salvare il Jcpoa. L’Iran e l’Ue hanno fatto di tutto per convincere gli Stati Uniti a non mandarlo in frantumi ma Trump ha ignorato i consigli e perfino minacciato gli alleati qualora continuassero a rispettarlo. Non ci sono i sintomi di un interesse dell’amministrazione Trump per un nuovo accordo, non ha fatto alcuna nuova proposta che l’Iran possa realisticamente accettare. C’è di più.

Prego.

Perché mai l’Iran dovrebbe credere a qualsiasi promessa che gli Stati Uniti possano fare con un nuovo accordo, vista la velocità con cui Washington ha abbandonato quello precedente? La lezione per gli europei, purtroppo, è che sono diventati troppo dipendenti dagli Stati Uniti e quindi troppo vulnerabili ai capricci americani.

Non c’è stata un’eccessiva indulgenza verso l’Iran da parte dell’Ue?

Non credo. Gli europei hanno una visione dell’Iran molto più realistica della maggior parte degli americani. Comprendono che il governo iraniano talvolta crea seri problemi, ma riconoscono al tempo stesso che non ha un potere illimitato e che può affrontare bastoni, carote e una diplomazia razionale. Al contrario, l’Iran è stato profondamente demonizzato dalla politica americana.

Come?

Gli americani hanno continuamente raccontato che l’Iran è l’incarnazione del male, che i suoi leader sono irrazionali e fanatici religiosi, e che è la fonte di tutti i mali della regione. Questa convinzione – che io ritengo molto inaccurata – ha reso estremamente difficile per gli Stati Uniti condurre una politica coerente e di successo verso l’Iran. Su questi temi gli europei sono stati molto più sensibili.

Sullo sfondo si muovono Russia e Cina. Come cambia la loro posizione nella regione dopo il raid su Soleimani?

La loro prima reazione probabilmente è stata di sollievo, l’ossessione degli Stati Uniti verso l’Iran è un’enorme distrazione da altri problemi, come le conseguenze dell’avanzata cinese in Asia. L’ostilità fra Washington e Teheran avvicina inoltre l’Iran a Russia e Cina, aumentandone così l’influenza nella regione.

Si schiereranno o rimarranno dietro le quinte?

Non credo che Russia e Cina vogliano intervenire direttamente a difesa dell’Iran, per il semplice motivo che preferirebbero vedere gli Stati Uniti impantanati in una costosa “Guerra Fredda” con l’Iran il più a lungo possibile. Suppongo siano molto felici mentre guardano gli americani inciampare nell’ennesimo, inspiegabile conflitto in Medio Oriente.

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