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Haftar lascia Mosca. I negoziati per la pace in Libia in bilico

Un Falcon F900 sta viaggiando nelle ore della stesura di questo articolo da Mosca verso sud, probabilmente diretto in Libia, a Bengasi (ma non si possono escludere scali al Cairo o Abu Dhabi). È il volo che riporta indietro Khalifa Haftar, signore della guerra della Cirenaica, che qualche ora fa è uscito dalle stanze della capitale russa dove sono in corso i negoziati per affrontare il dossier libico – stanze dove tutto sembrava pronto per un accordo che potesse implementare il cessate il fuoco in atto da domenica e riavviare il percorso politico intra-libico.

Fayez Serraj, il premier libico internazionale riconosciuto, aveva – dopo qualche tentennamento – firmato il documento ieri in serata. Si trattava di un testo asciutto, proposto da Russia e Turchia, protettrici teoriche di Haftar e Serraj. Ma già da ieri, fonti presenti al meeting, raccontavano che il capo miliziano dell’Est si era riservato qualche ora per riflettere. Forse avrebbe firmato oggi, ma attorno all’una di notte è arrivata la “notizia urgente”: “Non ci sarà alcuna firma sull’accordo di Mosca per diversi motivi – dicevano dai circoli haftariani – il più importante dei quali è l’intenzione della Turchia di sfruttarlo imponendosi attraverso esso come partito in Libia per legittimare i due memorandum di intesa firmati” con Serraj (il 27 novembre).

“Ci sono teorie contrastanti sul perché Haftar non abbia firmato”, dice a Formiche.net Wolfram Lacher, esperto di Libia dell’Swp di Berlino. “Per alcuni ha troppi maestri a cui rispondere. Per altri rifiuta di fare ciò che vogliono i suoi padroni. La risposta potrebbe essere entrambe le cose: avere più sostenitori consente ad Haftar di giocarli l’uno contro l’altro. E forse lo ha fatto una volta in più ieri”.

Lacher ieri scriveva su Twitter che sebbene tutte e due le parti libiche hanno provato a far passare la soluzione russa come una vittoria, in realtà si tratta della dimostrazione che entrambi i fronti sono direttamente dipendenti dal ruolo degli attori esterni: che siano Turchia o Russia, o Egitto ed Emirati Arabi e Qatar, o l’Unione Europea, che a Berlino, domenica, organizzerà una riunione a cui parteciperanno la cancelliere, Angela Merkel, i presidenti di Turchia e Russia, Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin, e il premier italiano, Giuseppe Conte. Obiettivo: recuperare terreno davanti agli eventi.

Con Haftar che ha lasciato Mosca è cambiato qualcosa? “Resto della mia idea – spiega Lacher – e aggiungo che il Gna non ha avuto altra scelta che firmare, visto che la Turchia è l’unica fonte di appoggio militare che ha”.

Gna è l’acronimo del Governo di accordo nazionale, l’esecutivo che il processo onusiano del Libyan political agreeement aveva progettato nel 2015 e affidato alla guida di Serraj. Insediatosi a Tripoli a marzo del 2016, con un blitz dell’Onu aiutato dalle intelligence di diversi Paesi, il Gna non è mai stato implementato dalla fiducia politica della Camera del Rappresentanti, auto-esiliata a Tobruk, in Cirenaica.

Il Gna da nove mesi resiste all’assalto di Haftar, che ha lanciato su Tripoli la sua milizia, l’Lna (assistita da contractor di varia provenienza, tra cui alcune centinaia russi). Obiettivo: conquistare la capitale, rovesciare Serraj e intestarsi il Paese come nuovo rais.

Quando, stremato, il Gna ha chiesto aiuto militare a cinque Paesi alleati, l’unica a rispondere positivamente è stata la Turchia – ma in cambio ha chiesto un accordo di cooperazione marittimo per definire fasce Zee congiunte in modo da tagliare in mezzo il sistema geopolitico che si sta costruendo nell’EastMed. Un quadro composto da Grecia, Cipro, Egitto (ed Israele) che Ankara sente come ostile.

All’implementazione di questo memorandum, e a quello sulla cooperazione militare, si deve la non firma di Haftar sull’accordo, secondo le informazioni disponibili.

Stamattina la pagina Facebook ufficiale dell’Lna scriveva che la milizia (che si fa chiamare “esercito” per spingere la propria narrativa) era “pronta e determinata”. Seppure con qualche scricchiolio, in queste 48 ore il cessate il fuoco ha retto: ora si vedrà se l’abbandono del tavolo negoziale da parte di Haftar si porterà dietro anche conseguenze sul campo. Erdogan ha minacciato di infliggere “una lezione” ad Haftar se dovesse riprendere i combattimenti.

 

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